di Andrea Lilli –

L’invasione dell’Ucraina è una catastrofe enorme i cui contraccolpi sono arrivati, inevitabilmente, anche al Festival di Cannes appena concluso. Oltre ad omaggiare con l’anteprima assoluta di Mariupolis 2 il regista lituano Mantas Kvedaravičius, arrestato e ucciso dai soldati russi il 2 aprile mentre filmava la distruzione della città, Cannes ha espresso piena solidarietà agli ucraini lasciandosi sfruttare come scenografia e cassa di risonanza per diverse manifestazioni, più o meno previste, contro la guerra di Putin.
Va tuttavia rilevato come l’esposizione mediatica di questa guerra ne metta automaticamente in ombra altre, non meno cruente, che continuano a calpestare il diritto dei popoli a vivere in pace, come cantava Victor Jara.
Tra le più violente, la guerra dei turchi contro i curdi, il popolo più numeroso tra quelli privi di un proprio Stato. L’esercito di Erdogan da tempo sta facendo nella regione transnazionale del Kurdistan – assegnata nel 1923 a Turchia, Siria, Iran e Iraq, con la dissoluzione dell’impero ottomano. Un territorio in cui la presenza di curdi residenti si stima fino a 25 milioni, di cui 12-15 in Turchia – qualcosa di molto simile a ciò che Putin ha fatto in Ucraina: bombardamenti, invasioni, assedi, massacri, distruzioni di città intere. Ad un popolo intero nega il diritto all’integrità territoriale, all’autodeterminazione, insomma ad esistere. Mentre Putin bombarda ed evacua gli ucraini definendoli neonazisti, conquistando territori e titoli in prima pagina, Erdogan continua a bombardare ed evacuare i curdi definendoli terroristi, ormai nell’indifferenza generale – compresa quella della NATO, cui la Turchia appartiene.

È a questa guerra dimenticata, ma niente affatto terminata né avviata a soluzione, che vuole portarci Kurdbûn – Essere curdi, lo straordinario film di Fariborz Kamkari (I fiori di Kirkuk, 2010; Pitza e Datteri, 2015), scrittore e regista curdo-iraniano. Il documentario attraversa i settantanove giorni di assedio imposti dai cacciabombardieri e carri armati turchi a Cizre, città curda nel sud-est della Turchia al confine con la Siria e l’Iraq. Un attacco repressivo feroce e improvviso, non annunciato dal governo di Erdogan, contrariato sia dal successo alle elezioni di dicembre 2015 del partito democratico filocurdo HDP, riuscito a entrare nel parlamento di Ankara col 13% dei voti, sia dal buon esito dell’esperimento di autoamministrazione democratica della città di Cizre. Tra il 2016 e il 2017, solo a Cizre sono state uccise circa 700 persone, evacuate 110.000, distrutti 12.000 edifici.
Kamkari ha svolto un paziente e acuto lavoro di scrittura e montaggio, ricostruendo la terribile esperienza vissuta dalla giornalista curda Berfin Kar, che insieme al suo cameraman è rimasta bloccata nella città di Cizre durante gli attacchi turchi, documentando giorno dopo giorno le violazioni dei diritti umani perpetrate dall’esercito turco contro donne, anziani e bambini, ma anche il coraggio degli abitanti nel trovare forme di sopravvivenza e resilienza quotidiana, in attuazione della citazione di Bertolt Brecht “Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa un dovere” scritta su quel che resta di un muro di Cizre.

Berfin Kar – simbolo del coraggio della libertà di stampa – oggi si trova in Turchia in attesa di essere processata. Dopo la fuga da Cizre si era rifugiata in Europa con gli hard disk contenenti le riprese di quei giorni, sequenze spesso drammatiche, e tramite un network di filmmaker curdi è riuscita a contattare il regista Kamkari a cui ha proposto di visionare il girato. Attraverso questo documentario, ispirato dal diario di guerra per immagini di Berfin Kar, Kamkari ha voluto raccontare cosa significhi, per lui, per Berfin Kar, per tutti gli abitanti di Cizre, essere curdo: “Uno degli aspetti che più mi ha impressionato della strage di Cizre è la somiglianza con la mia esperienza personale a Sna (città curda in Iran) trentotto anni fa, quando l’esercito iraniano ha attaccato la città indifesa e l’ha bombardata per più di trenta giorni solo perché gli abitanti avevano deciso di non accettare il regime di Khomeini”.
Nel film non c’è solo sangue e dolore, ma pure l’insopprimibile energia vitale e positiva di donne, ragazzi, uomini che nella paura non rinunciano a sorridere, a cantare, ballare. Ha spiegato ancora il regista: “Vedere la resistenza di un popolo che accetta la morte ma non si inchina, riempie il cuore di ogni spettatore di dolore e nello stesso tempo di orgoglio. Il viso dei bambini, il pianto dei padri sui cadaveri dei figli adolescenti uccisi dai cecchini e i volti orgogliosi delle donne, che sono state la spina dorsale della resistenza di Cizre, pronte a morire, ma non ad accettare l’ingiustizia. Questa è l’esperienza mia e di ogni curdo delle quattro zone del Kurdistan. Allora ho deciso di partire dal documento per denunciare un incredibile crimine contro l’umanità e per ricostruire un pezzo della memoria collettiva di un popolo ancora oggi diviso e perseguitato.”
Il film testimonia come tutte le sopraffazioni e le guerre imposte da regimi antidemocratici e imperialisti siano simili, spezzando o travolgendo la vita di migliaia, milioni di civili innocenti e delle loro famiglie, compromettendo il futuro delle generazioni successive. Ma documenta anche il coraggio e la tenacia di chi resta e resiste. Una delle voci del documentario è quella di Antonio Gramsci: “Vivo, sono partigiano. Per questo, odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

- In sala dal 12 maggio, distribuito da Officine UBU
Non dite mai, come il Don Abbondio di manzoniana memoria, “Il coraggio uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare.” Il coraggio non è un dono, ma una scelta che dobbiamo trovare nella nostra coscienza. Solo così saremo uomini liberi, e non schiavi.
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