Mariupol, di Mantas Kvedaravičius (Mariupolis, 2016)

di Andrea Lilli –

Teatro Drama (prima del 16 marzo 2022)

Un mese fa, il 16 marzo, il Teatro d’Arte Drammatica (“Teatro Drama”) di Mariupol è stato bombardato e raso al suolo nel corso dell’invasione russa in Ucraina iniziata il 24 febbraio. Gestito da una compagnia teatrale nata nel 1878, era il principale centro culturale di questa città di 430.000 abitanti (prima del 24 febbraio), posta per sua sfortuna ‘in posizione strategica’ nell’Ucraina sudorientale. Il teatro era diventato da tre settimane un rifugio di guerra per centinaia di cittadini. Ancora non è stato possibile scavare tra le macerie per contare le vittime rimaste sotto i detriti, perché l’operazione militare speciale russa su Mariupol è ancora in corso. Un assedio ingiustificabile e feroce, che ha distrutto la città svuotandola e massacrando civili inermi, tra cui un lituano 45enne: Mantas Kvedaravicius, il regista di questo film, ucciso e gettato per strada dai militari russi tra il 1° e il 2 aprile scorsi.

Esiste un’infinità di fiction di guerra tratte o ispirate “da una storia vera”. I racconti tratti da guerre in presa diretta sono meno numerosi, per ovvi motivi. Non è facile filmare tra le bombe. Mantas Kvedaravičius era un regista che faceva di questi film pericolosi. Ne ha fatti solo due, che poi non sono film di guerra, ma nella guerra, e dunque inevitabilmente sulla guerra. Più che dalle morti eroiche dei militari al fronte era attratto dalle vite ordinarie dei civili coinvolti loro malgrado, ché poi ogni vita è straordinaria, a vederla da vicino. Del resto era un antropologo, prima che un cineasta. Girava senza sceneggiature, senza attori, senza effetti speciali. Tuttavia non era un semplice documentarista, perché col suo modo particolare di riprendere e di montare il girato creava storie, o per dir meglio acchiappava e metteva insieme frammenti di storie creando un racconto polifonico spontaneo, improvvisato, eppure coeso e sensato.

Uno dei luoghi che vediamo in Mariupolis, girato da Kvedaravicius tra aprile e maggio 2015, un anno dopo i primi attacchi russi alla città, è dunque l’interno del Teatro Drama: quello che ora è l’inferno del Teatro Drama. Ecco gli attori, i concertisti, le maestranze. Si prova uno spettacolo di musica e balli tradizionali. Prima, una autista di tram inizia la giornata di lavoro senza sapere ancora come gli orari dei turni saranno condizionati dai bombardamenti. Poi, scorci di vita domestica, giochi di bambini. Si cambia scena rapidamente: un uomo va a pescare in barca sul lago con la figlia. Altri pescano dal ponte con reti tirate su a mano. Un sacerdote ortodosso dice messa. Un calzolaio lavora ascoltando le ultime notizie alla radio. Un addetto allo zoo pulisce gli ambienti. Un campanaro mostra il suo virtuosismo nel suonare. Scene brevi, dove le inquadrature con macchina a spalla avvengono a distanza molto ravvicinata. Le scene più lunghe hanno per protagonisti i militari, che ostentano calma e sicurezza anche quando sono in allarme. Il regista improvvisa zoom su oggetti curiosi, come un minibusto di Stalin su uno scaffale di cianfrusaglie.

Il regista costruisce paziente, pezzo per pezzo, una vibrante galleria di scenari che nell’insieme ci restituisce ciò che era la vita di Mariupol poco prima che agonizzasse sotto le bombe e gli obici russi. Prima delle mine, dei cecchini, delle violenze, del terrore sistematico. Lascia parlare le immagini, i rumori, le voci – senza commenti, senza colonna sonora. L’obiettivo entra nell’enorme acciaieria di Mariupol. Riprende discussioni e litigi tra chi parla in russo e in ucraino, le due lingue sono frequentate dai due gruppi etnici in percentuali simili. Lo erano almeno, fino a quando Vladimir Putin non ha deciso di opprimerne e sopprimerne uno.

Mantas Kvedaravicius, anch’egli russofono in quanto nato in un Paese che faceva parte dell’Unione Sovietica, aveva conseguito un dottorato di ricerca in Antropologia sociale presso l’Università di Cambridge, era stato professore associato presso l’Università di Vilnius. La sua tesi di dottorato riguardava “I nodi dell’assenza: morte, sogni e sparizioni ai limiti del diritto nella zona antiterrorismo della Cecenia”. La Cecenia, a sua volta dilaniata dalla guerra per volontà di Putin, è anche l’ambientazione del film documentario Barzakh (Limbo, 2011), che il coraggioso regista girò in segreto. Mariupolis è stato il suo secondo film. Parthenon (Partenonas, 2019) è il terzo ed ultimo compiuto. Quando seppe dell’inizio dell’invasione russa tornò al più presto a Mariupol. In quel momento era in Uganda e lavorava alle riprese di un altro progetto, che sospese immediatamente.

La moglie Hanna Bilobrova, che con grande coraggio ha personalmente rintracciato, raccolto e riportato in Lituania la salma di Mantas, ha espresso la determinazione di completare il lavoro su Mariupol iniziato a metà marzo, sulla base delle copie di girato registrato in back up consegnatele dal marito.

Mantas Kvedaravicius e Hanna Bilobrova

  • il film è disponibile in versione originale con sottotitoli in italiano su Arte.tv

– Filmografia di Mantas Kvedaravicius –

“Barzakh”

  • Amnesty International Film Prize, 2011 Berlin International Film Festival
  • Best Film, 2011 Belgrade Documentary and Short Film Festival
  • Best Documentary, 2011 Lithuanian Film Awards
  • Amnesty International Film Prize, 2012 Ljubljana International Film Festival
  • Grand Prize, 2011 Tallinn Black Nights Film Festival
  • Best Lithuanian Debut, 2011 Vilnius International Film Festival

“Mariupolis”

  • Best Documentary, 2016 Lithuanian Film Awards
  • Best Director, 2016 Vilnius International Film Festival

“Partenonas”

  • Presentato alla 76. Mostra del Cinema di Venezia – Settimana della Critica, 2019.

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