di A.C.
L’esordio sul grande schermo di Ridley Scott è l’avvincente trasposizione storica di una feroce rivalità tra due ufficiali francesi dell’esercito napoleonico, coinvolti in una serie infinita di duelli all’ultimo sangue, sempre sospesi e mai terminati per via di obblighi vincolanti dettati dal codice cavalleresco.
Le schermaglie dei due protagonisti (gli ottimi Keith Carradine e Harvey Keitel) si intrecciano nel corso degli anni, intaccando i momenti salienti dell’impero di Napoleone: la sua ascesa, le varie campagne belliche della “Grande Armée”, il primo esilio sull’isola d’Elba e la definitiva sconfitta a Waterloo.
Ispirato al racconto ‘Il duello’, di J. Conrad, Scott ricostruisce con grande abilità le ambientazioni ottocentesche tramite un messa in scena curatissima in ogni dettaglio e inquadrature dal forte impatto visivo che richiamano non poco la perfezione estetica di Barry Lyndon e anche l’intento moralizzante.
Ma Scott sviscera meticolosamente i suoi personaggi e il loro insanabile dualismo, apparentemente originato da futili divergenze, ma che in realtà cela una ragione molto più profonda e radicata. Perché i due duellanti rappresentano due diverse vedute del bonapartismo: quello di Feraud (Keitel), idealista e reazionario, e quello di D’Hubert (Carradine), realista e progressista.
Il continuo incalzare dei duelli nel corso degli anni ha un valore prettamente simbolico: la lotta di classe, la lotta contro il tempo, la lotta di chi non vuole abbandonare i propri principi contro chi è più favorevole ad adattarsi a dei nuovi. Come simbolico e bellissimo è il finale con questa figura napoleonica -citazione di C. D. Friedrich e del suo “Viandante sul mare di nebbia”- che si erge fiera e consapevole sulla infinita limitatezza del genere umano.
Tra le opere più virtuose del regista britannico e una delle più significative del suo primo brillante periodo cinematografico.
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