di Matteo Filippi
“Se ti senti diversa è perche sei migliore di loro”.
Questa frase raccoglie lo spirito della pellicola vincitrice del Premio ‘un certain regard’ al 71* Festival di Cannes.
Tratto dall’omonimo racconto dello svedese John Ajvide Lindquist, già autore del bellissimo ‘Lasciami entrare’, Border racconta la storia di Tina, ufficiale di dogana e donna dal carattere schivo e dall’estetica ambigua, dotata di una incredibile e quasi sovrannaturale capacità di fiutare il bene ed il male nelle persone. Tina è evidentemente diversa dagli altri eppure nessuno sembra badarci o farci caso e lei stessa considera il suo aspetto peculiare come un difetto genetico. Il non riconoscimento del suo vero io e della sua reale natura la porta a condurre una vita monotona, infelice e finta (esempio lampante il rapporto di convenienza con un compagno nullafacente e approfittatore). Questo equilibrio precario viene sconvolto dall’arrivo di Vore, ‘personaggio-clone’ della protagonista ma consapevole e forte della propria natura.
‘Border’ intraprende una strada ardua, quella del capovolgimento dei punti di vista e della labilità delle posizioni manichee su ciò che è bello o brutto, giusto o sbagliato, buono o cattivo, ma lo fa in modo arguto, intelligente e colto, arrivando con forza al grande pubblico. Questo perché nel film la ‘critica’ del regista nei confronti della diversità in contrasto con la società, non solo è palese ma quasi didascalica.
La vita solitaria e isolata della protagonista è una metafora delle difficoltà di adattamento e della paura dell’altro che caratterizza i nostri giorni, dell’isolamento e della sfiducia.
L’ottima sceneggiatura -oltre al trucco incredibile e alle prove attoriali- tocca temi già affrontanti in altre pellicole ma con un tocco di poesia e magia che rende accettabile allo spettatore anche la crudezza di alcune scene.
Il mondo immaginario e fantastico che fa da sfondo al film ci muove e commuove così come vedere i neo-coscienti Troll riscoprire la loro sessualità e sfogare le proprie pulsioni naturali immersi nel loro habitat.
I toni Horror che caratterizzano gran parte del film si fondono con le atmosfere di un Fantasy per sottolineare – senza effetti speciali, nel silenzio sospeso del bosco scandinavo- una mostruosità che non è di ‘cartongesso’ ma una parete di cemento armato, dura, reale e inattaccabile.
Il pregio indiscusso di Border è il voler raccontare sotto forma di favola agrodolce una condizione comune a molti: quanti di noi in determinate situazioni si sono sentiti estranei, incompresi, delusi, insomma… gente di confine?
Fotografia fredda e regia lineare accompagnano e definiscono i luoghi classici della cultura nord-europea…Luoghi come la dogana, luogo fisico di una terra di confine. In ogni istante del film lo spettatore è indeciso se provare empatia o estraneità e disgusto per i protagonisti. Eppure il senso prevalente di indignazione e degenerazione spinge lo spettatore a guardare questa strana, ma assolutamente non banale pellicola.
Le diversità in questo caso non dividono ma uniscono, portando lo spettatore a gioire e quasi tifare per la debolezza e repellenza dei protagonisti, portati dal regista fino ad una caratterizzazione quasi inumana.
L’animale è nell’uomo o l’uomo può ‘invadere’ l’animale?
Questo non può e non vuole essere un quesito shakespeariano ma una domanda che il film pone e che si risolve in una non necessaria e di certo non esaustiva risposta.
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