di Corinne Vosa
” Le vedevo le rughe precoci, e ormai benissimo anche la cicatrice sotto la gola ed ero affascinata da quegli occhi neri, e disperati, in fondo ai quali tremava una disperazione ostinata.” [Oriana Fallaci su Judy Garland]
Fin dalla prima sequenza Judy rivela un’ intensità che emoziona e ferisce, una capacità di raccontare con dolcezza e sincerità il dramma interiore di una donna costretta fin dalla prematura età a vivere nella finzione. Il film si sofferma sugli ultimi anni di vita della cantante, la maternità e il periodo della tournée di Londra, ultimo momento di gloria dopo anni di oscurità; ma è anche intervallato ricorrentemente dai flashback dell’inizio della sua brillante e altalenante carriera.
È stata la ragazza della porta accanto, la bambina di tutti. Una creatura ideale e innocente amata follemente, la Dorothy Gale de Il mago di Oz. Solo che Hollywood non era Oz, ma un carcere dorato e fatiscente con cibo di plastica e materiali di scena a cui potersi avvicinare a malapena. Un luogo ostile di ossessioni e mancanza di libertà, un teatro della manipolazione che rubò a Judy Garland la sua infanzia e spensieratezza e la trasformò in una stella fragile e sola. Sempre nel libro inchiesta di Oriana Fallaci “I sette peccati di Hollywood” la Garland afferma: Sa, ci sono pillole per ogni cosa in America, anche per sentirsi felici: ma quelle con me non hanno mai funzionato.“
Renée Zellweger la interpreta sublimamente, incarnandone con una sensibilità incantevole vizi e paure. Si immedesima in Judy anche adottando il suo atteggiamento corporeo, portando continuamente le spalle in avanti proprio come era tipico della star, affetta da un problema alla spina dorsale che influiva sulla sua postura facendola apparire negli ultimi anni più vecchia di quanto fosse realmente. Un’interpretazione indubbiamente da Oscar e che segna il lucente ritorno di Renée nel cinema d’autore. Non si possono non lodare le sue performance canore nel film, quasi tutte eseguite in presa diretta; un momento magico e indimenticabile è l’esecuzione di Over The Rainbow, dove l’emozione che spezza la voce della protagonista travolge anche noi spettatori.
Judy è un film intimo e travolgente, il ritratto di una donna reale e non la diva idealizzata da Hollywood. La sceneggiatura è basata per lo più sul materiale storico e letterario dedicato all’attrice, ma sono inseriti anche degli episodi fittizi come la cena con i suoi fan, un’occasione toccante, delicata e verosimile per inserire il tema del rispetto verso i diversi.
Il film di Rupert Goold non punta ad evidenziare la propria regia con soluzioni originali e virtuosistiche, ma piuttosto sembra adoperarsi per dare risalto all’attrice protagonista e ai dialoghi, assicurando comunque una cura formale elegante e incisiva.
Judy morì solo sei mesi dopo gli eventi del film, a quarantasette anni, per un’intossicazione dovuta alll’ingestione eccessiva di barbiturici, da cui era notoriamente dipendente. Non c’è nessun lieto fine, solo un ultimo grido rivolto a noi: “Non vi dimenticherete di me, vero?! Promettetemelo!” No, non ti dimenticheremo Judy. È una promessa.
Bellissima recensione.
Sono felice che sia un film riuscito. Se riesco vado a vederlo
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