‘Dillinger è morto’ (1969), di M. Ferreri

di Roberta Lamonica

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Marco Ferreri racconta l’alienazione dell’uomo ‘industriale’ in un film unico, che sfugge alle classificazioni di genere e assolutamente sperimentale per idea e costruzione. ‘Dillinger è Morto’ venne presentato alla 22esima edizione del Festival di Cannes in un anno, il 1969, in cui i movimenti di contestazione ideologica e studentesca dilagavano in Italia e non solo. Applaudito in Francia, contestato in Patria, vinse comunque un Nastro d’Argento per il miglior soggetto originale.

In una location tipicamente industriale, due ingegneri, quelli che promuovono ‘le magnifiche sorti e progressive’, guardano un ‘homo’ da dietro un vetro nel rumore assordante dello stabilimento. Lui li guarda da dietro la maschera a gas che indossa e conferma che sì, si può vivere anche in quell’aria velenosa, se si indossa la maschera. L’analisi sociologica condotta da uno dei due conclude che “In condizioni di uniformità la vecchia l’alienazione diventa impossibile. Quando gli individui si identificano con l’esistenza che è loro imposta e trovano in essa compiacimento e soddisfazione, il soggetto dell’alienazione viene inghiottito dalla sua esistenza aliena”.

dillinger 14  A questo fiume di parole, difficili, complesse, dolorose, definitive, fa seguito un vuoto verbale pressoché totale per quasi tutto il film. Il protagonista, Glauco (ma potrebbe anche non avere nome, tanto è tipizzato come ‘uomo qualunque’), si prende la scena e ci immerge, letteralmente, nella sua non-vita. Il fiume di parole viene rimpiazzato da un altrettanto impetuoso fiume di immagini e cose, sconnesse, invadenti, disomogenee e da un fiume di musica senza apparente (ma solo apparente, a ben guardare) logica: musica pop, tradizionale, internazionale, ritmata, a tratti persino erotica. Un uomo dei suoi tempi, Glauco, interpretato da un Michael Piccoli strepitoso. Un uomo con la ‘maschera a gas’, irrequieto, annoiato, incapace di collocare la propria esistenza nel presente opprimente che la caratterizza e fastidiosamente legato a un passato di cui però non vagheggia il ritorno. Un creativo che non riesce più a creare, circondato dagli oggetti che ha fatto, raccolto, segni del suo passaggio nel mondo.

L’identità di Glauco è quella dell’uomo contemporaneo,drammaticamente scissa in tante piccole parti. Ognuna di esse vive di vita autonoma in una delle stanze che, come scatole cinesi, compongono la sua casa. Lo studio, la camera da letto, persino la cucina; ogni angolo è pieno delle ‘macerie’, dei ricordi di una vita che sembra aver perso senso e che non ha più ossigeno dei pesci rossi sul comodino di sua moglie.dillinger 11

Proprio in cucina Glauco trova una pistola, avvolta in vecchi giornali che riportano la notizia della morte di Dillinger. Anche questo particolare contribuisce al senso di straniamento di tutto il film. Le immagini di repertorio che sembrano suggerire un diverso percorso narrativo restano invece senza sviluppo, come il piatto che sta cucinando, come il veloce amplesso che potrebbe consumare con la domestica Sabina, la divina Annie Girardot. La macchina da presa, il vecchio giornale e la pistola seguono il protagonista in un balletto senza linee, in cui ogni ‘ballerino’ sceglie movenze e posizioni indipendentemente da quelle degli altri, così a caso, come a volte funziona la vita e… la morte.

 In questo film fa capolino l’ossessione di Ferreri per il cibo, protagonista di tanto suo cinema, che però qui si fa segno di incomunicabilità, bulimia emotiva e profonda solitudine. Non è un caso che ‘la notte’ di Glauco cominci con un piatto freddo, preparato senza amore e dedizione e che il ritrovamento della pistola avvenga fortuitamente mentre il protagonista cerca un ingrediente per un piatto che vuole cucinarsi e ancora che il sogno di rinnovamento di Glauco passi attraverso il proporsi per il mestiere di cuoco a bordo di una barca.

dillinger 1Ferreri, dunque, segue Glauco con la macchina da presa in una notte che sembra non finire mai, la notte della nostra umanità. Tutto il campionario del mondo contemporaneo affolla lo sguardo e la mente di un uomo che dovrebbe rappresentare uno dei gradini più alti della nostra evoluzione. Sui prodotti tecnologici inventati da altri uomini come lui sfila il  rigurgito post pop della realtà: hippie allucinati, adolescenti intervistate su banalità di costume, cineprese con filmini di repertorio, Dino, il miele Ambrosoli, una donna accondiscendente, un’altra squilibrata, il piacere della carne vs la mortificazione della stessa, le vette conquistate da Coppi, la corrida.

 Una notte di azioni illogiche e irrazionali che trova la quadratura del cerchio nella follia conclusiva che può finalmente togliere il paravento a una vita vissuta con la maschera a gas e svuotata di ogni ulteriore possibile significato. Glauco sogna una palingenesi simbolicamente rappresentata da un bagno nelle acque rigeneranti di un mare che dona una nuova possibilità. Ma il tramonto che insanguina il veliero pronto a salpare per terre lontane rimanda al gesto compiuto dal protagonista e non è auspicio di ‘buon tempo’, di una speranza per una vita nuova. Il cineasta milanese lascia intuire che solo attraverso la cancellazione del proprio vissuto passato si può sperare in un rinnovamento. dillinger 4E, nel passaggio rituale del collare alla giovanissima donna a bordo, novella Eva, il nostro protagonista, curioso esploratore del mondo, si fa portatore del messaggio di Ferreri: il futuro, se mai ci sarà, sarà femmina e il mondo di oggi, meccanico, maschio, futurista e proattivo si scioglie simbolicamente in un rosso iperrealista e saturo come se fosse acido, come ‘se fosse foco’. Una menzione agli splendidi giochi mimici curati da Maria Perego, la ‘mamma’ di Topo Gigio e alla ‘color correction’ nel restauro di Luciano Tovoli che ha restituito brillantezza e corpo ai colori originali. Splendida location del film l’appartamento di Mario Schifano, di cui si possono ammirare opere alle pareti.

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Capolavoro del nostro Cinema.

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