Dune – Parte 2

È difficile oggi pensare ad un film o ad una serie tv che non abbia un finale aperto per lasciare spazio ad un infinito numero di continuazioni, o addirittura che abbia un finale; per questo motivo il primo capitolo della saga di Dune era stato accusato di non essere nient’altro che un incipit esclusivamente propedeutico ad un eventuale seguito.  

Il lavoro di Villenueve con Dune però è diverso: il suo sequel infatti si congiunge in modo preciso con il precedente uscito nel 2021 ed entrambi riescono a ricoprire un arco narrativo pari solo al primo libro del Ciclo di Dune di Frank Herbert, formando a tutti gli effetti un’opera unica, ma probabilmente separati per motivi di produzione.

Se però il primo capitolo era caratterizzato da un ritmo più lento e introspettivo, perché aveva il compito di accompagnare lentamente il pubblico all’interno dell’intricata logica di quel mondo letterario e dei suoi protagonisti e concentrarsi in una loro curata rappresentazione; il suo seguito riesce perfettamente a continuare a trascinare all’interno dello snodarsi della vicenda, conservando pur sempre una curata attenzione per i dettagli sia estetici che psicologici.

Dune – Parte 2 risulta quindi a primo impatto sicuramente più movimentato: infatti assieme a introduzioni di nuovi personaggi che spesso riescono a rubare la scena ai protagonisti, (il Feyd-Rautha di Austin Butler), viene anche lasciato un importante spazio alle dinamiche scene d’azione, che per quanto possano risultare a tratti artificiali, restano scenicamente spettacolari, merito anche dell’accompagnamento delle musiche distopiche di Hans Zimmer e le loro streganti voci femminili, simili agli ipnotizzanti cori delle antiche tragedie greche.

Il principale tema del film, più vicino ad una pellicola d’autore che un blockbuster, è però il viaggio di consapevolezza del, non più eroe ma in fondo mai destinato a diventarlo, Paul Atredeis, a cui Timothee Chalamet non dona particolare espressività: perché un messia non può averne. Perché Paul è il ‘Lisan al Gaib’ che il popolo dei Fremen attendeva impazientemente da secoli e che li avrebbe condotti al paradiso, con evidenti rimandi biblici. Un ruolo che alla fine lui stesso accetta, giocando su quella sottile linea di confine che lo separa dall’essere un liberatore o un distruttore, come la fede rischia sempre di sfociare nella follia o nel pericoloso fanatismo.

Forse questo rientra tra i tanti pregi di Dune – Parte 2, il riuscire a dipingere in un mondo artificiale uno spaccato della natura umana: a cosa, o a chi, l’uomo ciecamente si aggrappa quando ha disperatamente bisogno di una speranza.

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