di Fabrizio Spurio
Nel 1977 esce nei cinema italiani il nuovo lavoro di Dario Argento. “Suspiria” è il titolo che segna un cambiamento totale nello stile del regista, cambiamento che era già in embrione nel precedente “Profondo rosso”.
Con “Suspiria” Argento decide di gettarsi nel cinema totale. Non c’è più una trama da seguire, una ricerca di colpevole, anche se resta comunque l’artificio della mano senza volto che compie i delitti. Ma il centro dell’attenzione del regista si sposta: l’interesse dell’autore è lo spettacolo puro, tutto ciò che di tecnico può terrorizzare lo spettatore. Montaggio, suono, colore, inquadrature si uniscono a formare un universo assurdo, degno rappresentante per una storia sul soprannaturale e la stregoneria. Proprio grazie alla scelta di una storia sulle streghe Argento è libero di divagare e sperimentare. La scusa del sortilegio gli permette di non dover giustificare logicamente alcune scelte stilistiche, prima fra tutte l’idea di scomporre l’immagine e annullare quelle che all’apparenza potrebbero sembrare delle soggettive. La macchina da presa, ad esempio, si colloca in luoghi e punti di vista assurdi: ad esempio nel primo lungo omicidio di Pat (Eva Axén), vediamo la ragazza ripresa di spalle davanti ad una finestra. Tutto lascia presupporre che l’inquadratura sia una soggettiva del carnefice, ma con sorpresa l’aggressione parte da davanti, proprio da quella finestra che Pat stava osservando, spiazzando lo spettatore. Lo sguardo quindi non da più sicurezza nella percezione del pubblico, il pericolo può arrivare da qualunque parte.
Ecco dunque le streghe, in quella che si rivelerà essere una trilogia (ma confermata solo a posteriori, con l’ultimo capitolo) che comprende anche il successivo “Inferno” ed il più tardo “La terza madre”.
L’atmosfera del film è onirica e selvaggia. In questa pellicola, ancor più che nella precedente, gli omicidi divengono dei veri e propri rituali, strategie del dolore che accompagnano le vittime ad un macello sacrificale: sono costruiti con la consapevolezza del rito. Più la vittima soffre tanto più sarà di valore il sacrificio. Come dichiara lo stesso regista in un’intervista, egli cerca di giungere ad un livello superiore di paura, lui vuole il panico. Le vittime designate si comportano di conseguenza. Quando capiscono che la Morte dà loro la caccia, ecco che si trasformano in personaggi deboli, anche fragili. Si lasciano andare a comportamenti banali che non prevedono la fuga o la difesa, ma solamente un inutile agitarsi in preda ad un panico che di fatto si fa complice dell’omicida. Esemplare la sequenza dell’omicidio di Sara (Stefania Casini) che, braccata dall’omicida, si chiude in uno stanzino e tutto quello che fa, in un primo momento, è rannicchiarsi a terra, come una bambina spaventata, ginocchia al viso, braccia strette intorno al corpo, nell’inutile attesa della morte imminente. Ma anche nell’omicidio di Pat vediamo un comportamento simile, quando la ragazza, a seguito delle coltellate ricevute, altro non fa che agitare le braccia, come se solo quello le fosse sufficiente ad allontanare il carnefice. La violenza degli omicidi fa regredire la persona ad uno stato infantile.
La particolarità di queste scene di omicidio, ma in realtà di tutta la pellicola, è che essa non sembra costruita per una trama lineare, ma che sia concepita come una serie di episodi, mini film, concatenati che realmente potrebbero essere scambiati tra di loro e la trama non ne risentirebbe molto. L’unico filo conduttore di tutto, l’unica parvenza di consecutività delle scene, è data da Susy (Jessica Harper), la protagonista, ennesima straniera trasferita da un altro continente, un tema spesso esaminato da Argento, che in questo modo vuole spiazzare il personaggio e portarlo in un ambiente del tutto alieno a lui.
Susy giunge quindi nella casa del male, preceduta da un temporale che la accompagna per tutto il viaggio, una tempesta violenta e selvaggia come è nell’idea del film.
Già dall’inizio sentiamo spirare quelle voci, quei sospiri, che saranno il motivo e tema portante della pellicola (con le musiche perfettamente calate nell’atmosfera del film, realizzate dai Goblin). Il sospiro di esseri maligni che circondano e vivono nella scuola di danza. Argento sceglie proprio quest’arte per il suo film. Fin dal Medioevo era credenza che alcune danze fossero propiziatorie per le streghe, lo stesso valzer, prima di essere nobilitato dai compositori che lo hanno innalzato a classico, era visto come una danza destinata ai Sabba delle streghe, che spesso danzavano con il demone caprone schiena contro schiena.
La danza è vista come un’arte profondamente divinatoria, per questo l’accademia è destinata a questa disciplina. Ma anche perché in questo modo è facile attirare prede tra quelle mura. Le allieve della scuola sono un vero e proprio serbatoio energetico per la Regina Nera, Elena Markos.
Nella scena del dormitorio, realizzato con dei teli tesi, mentre le ragazze dormono vediamo l’ombra di una donna, la direttrice Markos, stagliarsi su uno di quei teli. La donna si stende su un letto, ed inizia a dormire. E’ chiaro che in realtà stia assorbendo l’essenza vitale giovanile delle ragazze: molte di loro, in quel momento, iniziano ad agitarsi nel sonno, la stessa Susy, insieme a Sara, non riesce a prendere sonno. La Strega Nera ha bisogno di tanta gioventù per poter mantenere il suo corpo in vita, un corpo centenario, avvizzito da un potere corrotto. Il volto di Elena Markos era di un’anziana caratterista truccata magistralmente da Pier Antonio Mecacci. L’effetto fu realizzato applicando sul volto dell’attrice del lattice misto a semplice carta per alimenti (quel tipo di buste di carta marrone, un po’ spessa, che negli anni settanta serviva per il pane). L’effetto era completato con la coloritura della “pelle” e l’applicazione di fondotinta di varie sfumature.
Elena Markos quindi si serve della scuola per trarre potere e controllare le sue future vittime. Argento suggerisce questa presenza in due inquadrature simili, due condanne a morte dichiarate dalla macchina da presa. La prima è quando Daniel (Flavio Bucci), maltrattato dalla glaciale e diabolica Miss Tanner (Alida Valli), dichiara di “essere cieco, ma non sordo; e chi vuole capire capisca!”. Chi deve capire lo sta osservando dall’alto della sala, con un’inquadratura verticale che comprende tutta la scena, ed ha già deciso la sua morte. La stessa cosa avviene nella sequenza della piscina, mentre Sara e Susy nuotano, la stessa presenza che minacciava Daniel ora è su di loro, sempre in un’inquadratura simile alla precedente, decretando questa volta la condanna di Sara.
Il tutto avviene in ambienti affogati in colori assurdi, colori che riportano a stati d’animo, il rosso, il verde, il giallo. La pelle dei personaggi svanisce, facendoli diventare dei manichini che si muovono in atmosfere assurde e monocromatiche: in alcune inquadrature tutto è rosso o verde o blu, di fatto anche gli attori si uniformano alle scenografie, come a voler dire che ormai sono già parte della scuola, sono diventati elementi di nutrimento di quelle diaboliche mura, fanno ormai parte dell’architettura. La carne ed il sangue fanno da cemento alla dimora di Elena Markos. Quasi l’occhio confonde queste vittime con gli arredi, se non fosse che, a differenza dei mobili, loro fuggono ed urlano.
L’occhio quindi è preso di mira e aggredito. Proprio con quest’idea Argento gioca per tutto il film: il tema a lui caro dell’inganno dell’occhio qui è portato allo sberleffo. La soluzione dell’enigma, infatti, è sempre davanti agli occhi della protagonista e di conseguenza del pubblico. Ma l’inganno della prospettiva è forte, allo spettatore non rimane altro che attendere che Susy finalmente capisca il trucco che le streghe hanno creato, questa volta senza artifici magici, ma con un semplice e più banale trucco di illusionismo.
Susy scopre il passaggio segreto, scivola nelle spire sotterranee della scuola, il vero centro e cuore della setta diabolica. Affronterà Elena Markos nel suo covo e durante l’immondo scontro vediamo un particolare chiarificatore: Susy e Markos, faccia a faccia. La strega è colpita a morte da Susy e allunga le sue mani artigliate verso il volto della ragazza. Ma in quel momento non riesce a toccarla, le mani della strega arrivano a pochi centimetri dal volto della ragazza, ma è come se la purezza di Susy sia incorruttibile, di fatto intoccabile da Elena Markos, una donna che ha fatto della corruzione, sia fisica che spirituale, il suo motivo di esistenza. Susy uscirà vincitrice da questo confronto.
Nel finale la stessa pioggia incessante che l’aveva accolta all’inizio della pellicola, saprà qui abbracciarla in un bagno purificatore che laverà via il contatto della putrefazione su cui era fondata la scuola di danza. In questo finale si fonde l’acqua piovana, benefica, che protegge Susy dal male, ed il fuoco infernale, che esplode all’interno della scuola di danza precipitando la congrega stregonesca in un rogo di inquisitoria memoria.
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