Profumo di donna, di Dino Risi (1974)

di Laura Pozzi

Dopo aver rinnovato con stile e lucentezza la commedia italiana, nel 1974 Dino Risi realizza Profumo di donna, con protagonista il suo attore preferito nonché alter ego Vittorio Gassman. L’idea nasce sulla base di un’autentica folgorazione per “Il buio e il miele” (1969), romanzo di Giovanni Arpino (secondo Risi) dalle spiccatissime potenzialità cinematografiche. Un film fortemente voluto, quindi, che si rivelerà essere uno dei più riusciti e maturi della coppia d’oro Risi-Gassman.

Fausto Consolo è un capitano residente a Torino, divenuto cieco in seguito a delle esercitazioni militari. Umiliato da una vita divenuta per lui priva di senso, intraprende un viaggio alla volta di Napoli, dove ad attenderlo c’è il suo amico e tenente Vincenzo, reso anch’egli non vedente durante il medesimo incidente. Senza informare nessuno i due progettano di suicidarsi insieme per porre fine ad una condizione di non vita fortemente invalidante. Ad accompagnare Fausto in questa discesa (non solo geografica) da nord a sud un giovane attendente in licenza premio, soprannominato con un pungente sarcasmo Ciccio (Alessandro Momo).

Il rapporto tra i due che si snoderà attraverso alcune tappe obbligate tra Genova e Roma, non sarà all’inizio tra i più prolifici, dato il carattere impossibile di Fausto, caratterizzato da insubordinazione a qualsiasi regola, ossessiva e marcata dedizione all’alcool e un’esasperata voglia di vivere che cela in realtà un disperato desiderio di morte. Ma durante l’interminabile viaggio in treno a poco a poco subentrerà una timida, ma sincera complicità capace di rimettere in discussione le sue infelici e irremovibili convinzioni. Tutto questo grazie anche alla preziosa e ostinata presenza di Sara, (un’indimenticabile Agostina Belli) una giovane perdutamente innamorata di Fausto, che nonostante i suoi continui rifiuti, saprà penetrare in quella crepa di oscura disperazione. Il lieto fine non è garantito, non sappiamo se l’ insolita storia tra i due funzionerà, ma Risi lascia alla splendida immagine finale il compito di donare una speranza e un paradiso terrestre anche a chi si definisce in uno dei momenti più toccanti del film un “undici di picche”, ovvero una carta inesistente, fuori dal mazzo, inevitabilmente esclusa da al gioco. Risi, pur seguendo alla lettera lo scritto di Arpino rispettando scrupolosamente ogni singola sfumatura e nonostante si tratti di una storia fondamentalmente triste e disillusa, non rinuncia alla sua visione della vita, quella più morbida e accogliente in grado di stemperare e in parte riempire i vuoti esistenziali dei suoi personaggi.

Le malinconiche immagini iniziali sulle struggenti note di Armando Trovajoli, imprimono ad una Torino assolata, ma dai colori autunnali, un profondo senso della storia. In quei fotogrammi si respira a pieno tutta la contraddizione e l’ostilità di un decennio storico (gli anni ’70) appena agli inizi, ma già perfettamente riconoscibile. I tempi sono cambiati, l’Italia del boom sembra lontana, il divertimento, la spensieratezza, la vita facile lascia posto ad una cupa e fuligginosa inquietudine, pregna di sinistri presagi. Il regista milanese (così come Mario Monicelli) ne prende atto e anche se Profumo di donna può considerarsi legittimo discendente de Il sorpasso, lo sguardo di Risi si fa di colpo acre, disincantato, nostalgico, ma anche profondamente vero.

Al centro del suo universo troviamo ancora Bruno Cortona, ma stavolta dopo i postumi di quella curva presa a 180 all’ora e al suo fianco un meno riflessivo, ma più scanzonato Roberto Mariani, (i suoi soliloqui oltre a rappresentare alcuni dei momenti più divertenti del film, risultano un efficace contraltare per evidenziare al meglio i conflitti interiori del vulcanico Fausto) nella vita fatalmente e tragicamente accomunato allo stesso crudele destino del personaggio di Jean- Louis Trintignant. E’ doveroso infatti ricordare come Alessandro Momo, morì a soli diciassette anni in un incidente di motocicletta alcune settimane dopo la fine delle riprese. Ma ad avere la meglio su tutti è lui: Vittorio Gassman. Il suo incomparabile talento giustamente premiato a Cannes come miglior attore, trasforma un personaggio all’apparenza sprezzante, cinico e superficiale in un essere fragile, umano, indifeso atrocemente colpito da un destino (è proprio il caso di dirlo) cieco. La storia poggia interamente sulle sue spalle, sulla risata eccessiva e beffarda, su quello sguardo perso nel vuoto, in grado di scorgere e in parte censurare la parte più astrusa di sé. Esemplare in questo senso l’intenso dialogo a Roma con il cugino prete, convinto assertore della sofferenza e del dolore inteso come benedizione e opportunità .

Non per Fausto, dove la cecità rappresenta solo una condanna prematura al suo deridere la vita, al prenderla bonariamente per i fondelli, a non investirci più di tanto. Ma anche nei momenti più tetri, c’è sempre una ragione per continuare a sceglierla: quell’inconfondibile e irrinunciabile profumo di donna in grado di lasciare e tracciare nel buio una sfuggente, ma prodigiosa scia luminosa.

3 risposte a "Profumo di donna, di Dino Risi (1974)"

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