Di Corinne Vosa
Il celebre regista coreano Park Chan-wook ( Old boy, Thirst, Lady Vendetta, Stoker) torna con un thriller erotico che con un estetismo ammaliante esalta la femminilità, deturpata da una viscida perversità maschile e in ricerca di un’agognata autonomia.
Nella Corea degli anni ’30, Sookee, una ragazza di umili origini, viene assunta come ancella della bellissima e malinconica ereditiera giapponese Hideko. Dietro questo incontro si cela però una rete di segreti e apparenze quasi inestricabile, nonché dei passati di sottomissione e solitudine disperata.
Il film si conferma un trionfo di eleganza e grazia visiva, con ambientazioni ricercate e costumi incantevoli. L’armonia dei paesaggi naturali si intreccia alla cupezza degli interni gotici del castello, dimora di inquietanti fantasmi del passato. L’approccio fortemente estetico di Park rispecchia formalmente una parte fondamentale del contenuto: l’ossessione e fascinazione per la bellezza si traduce in desiderio sfrenato per il proibito e l’inarrivabile, un impulso erotico che può tramutarsi in amore o viceversa innescare smanie di sopraffazione e martirio dello spirito e del corpo.
Mademoiselle abbraccia il binomio freudiano e romantico dell’ Eros e Thanatos, impulsi strettamente connessi l’uno all’altro che generano un film dove oscurità e passione si accompagnano fedelmente. L’erotismo è un elemento prorompente, approcciato con grande disinvoltura ma sempre in una cornice di eleganza visiva impeccabile. La sessualità include momenti di estrema dolcezza e delicatezza che scandiscono la nascita di un rapporto emotivo profondo, dando luogo a scene di un intimismo toccante, in cui il peso e l’intensità di uno sguardo o di una carezza bucano lo schermo.
Mademoiselle è un gioco di inganni e segreti tessuti con abilità. Nulla è come sembra e inaspettati colpi di scena e meccanismi narrativi circolari sono pronti a scuotere le nostre certezze di spettatori, così come quelle degli stessi personaggi. L’arte dell’inganno è tanto significativa nella trama quanto nelle sue modalità di resa cinematografica. Verso il finale l’attitudine più sanguinaria del regista della trilogia della vendetta emerge, in una sequenza forse un po’ eccessiva rispetto al resto del film, in cui la brutalità è solo suggerita e lasciata intendere.
Dopo aver realizzato il perturbante e affascinante Stoker, il suo primo film in lingua inglese con stelle del cinema hollywoodiane quali Nicole Kidman e Mia Wasikowska, il cineasta Park Chan-wook volge di nuovo il suo sguardo artistico alle proprie origini, adattando il romanzo Ladra di Sarah Waters, spostandone però l’ambientazione dall’Inghilterra vittoriana all’era coloniale degli anni ’30 in Corea, mantenendo della prima l’estetica e le atmosfere gotiche.
Mademoiselle (The handmaiden) è una torbida e magnetica storia di emancipazione femminile. Il candore dei corpi femminili splende come una luce che si contrappone ai potenti simboli di morte o perversione che costellano il film: serpi, arnesi di tortura, stanze sotterranee dell’orrore, alberi del suicidio, polpi giganti. È anche una summa della cultura erotica e pornografica giapponese, seppure riletta in chiave quasi femminista. Un particolare riferimento sono gli shunga, antiche stampe erotiche giapponesi, di cui un esempio è Sogno della moglie del marinaio di Hokusai, un ménage à trois tra una giovane donna avvenente e due polpi. Park Chan-wook riprende la tradizione di trasmissione di questo patrimonio artistico, che ne faceva uso anche per l’educazione sessuale femminile, e pur senza affossarne la bellezza ne scruta i possibili risvolti tetri, secondo un’ottica moderna e forse in parte occidentalizzata. Senza dubbio molto femminista. Nessuna avversione alla profonda conoscenza della sessualità, né alla trasgressione erotica, che viceversa è celebrata, ma in Mademoiselle le donne divengono finalmente padrone del proprio corpo e della cultura dell’eros, svincolandosi da ogni sfruttamento a cui erano sottoposte e approdando a una nuova era di libertà e armonia.
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