di Fabrizio Spurio
Nel 1962 esce nei cinema statunitensi un’opera intensa, sia dal punto di vista tecnico che artistico. E intensa è anche la trama della pellicola. “Che fine ha fatto Baby Jane?” è un thriller psicologico spietato e crudele, che porta sullo schermo Bette Davis e Joan Crawford nei rispettivi ruoli di Jane e Blanche Hudson, due sorelle star del cinema del passato che vivono insieme a Los Angeles. La storia è tratta dal bellissimo romanzo “What ever happened to Baby Jane?” pubblicato da Henry Farrell nel 1960.
Il regista Robert Aldrich decise di far lavorare nello stesso film due attrici che erano ‘rivali’ anche nella vita e ciò contribuì a dare alla vicenda un forte senso di realismo. La storia vede due sorelle in spietato antagonismo e separate dall’invidia che rode una delle due, Jane, in maniera viscerale.
Jane, ex bambina prodigio dello spettacolo, spinta dal padre a vedere se stessa come una grande diva del palcoscenico, vede la popolarità della sua ‘Baby Jane’ svanire nel tempo mentre quella della sorella Blanche aumenta esponenzialmente fino diventare un’attrice di primo livello la cui stella adombra sempre più quella della sorella. Un incidente di macchina spezzerà la colonna vertebrale e la carriera di Blanche, che da quel momento sarà costretta su una sedia a rotelle, in balia di Jane, sempre più instabile. Il fatto che in televisione vengano trasmessi i vecchi film di Blanche scatena in Jane una furia repressa da anni. Inizia a trattare con odio la sorella, la tiene segregata in casa e sfrutta i suoi soldi per un’improbabile rentrée sui palcoscenici. Contatta un musicista che cerca disperatamente un lavoro, Edwin Flagg (interpretato da Victor Buono, alla sua prima apparizione cinematografica).
Edwin è consapevole di trovarsi di fronte ad una donna con gravi problemi mentali, ma non si fa remore a sfruttare la situazione per poter rimediare qualche dollaro.
La deriva mentale di Jane è senza freni, vive nel ricordo del suo successo e rimane allibita quando qualcuno non riconosce il suo nome d’arte. Il suo cervello è bloccato alla sua infanzia e il tempo sembra anch’esso essersi fermato nella casa delle due donne.
Jane si veste come una bambina, trucca il suo volto con una maschera infantile, bianca come la pelle di una bambola di porcellana, la stessa bambola che conserva e che riproduce le sue fattezze da bambina. Gli occhi cerchiati da un trucco pesante, reso ancora più profondo dal contrasto con le rughe che le affollano il viso sfiorito (nel 1975 Dario Argento omaggerà il personaggio interpretato da Bette Davis costruendo sul suo modello la figura cardine di Clara Calamai nel suo capolavoro ‘Profondo Rosso’), gli abiti di pizzo bianco, ironicamente virginali e fanciulleschi. Così conciata Jane si esibisce davanti a un imbarazzato Edwin e il regista fa in modo da rendere sullo schermo il delirio di Jane, trasformando quello che è un salotto in un palcoscenico, con tanto di luci in basso ad illuminare Jane, resa ancora più grottesca dalle ombre che si dipingono sul suo volto. Blanche è in totale balìa di questa follia alla quale non riesce a dare un freno. Jane non ascolta ragioni, soprattutto quando Blanche decide di vendere la casa. Jane la isola, licenzia prima ed uccide poi la cameriera Elvira (Maidie Norman), che aveva avuto l’idea di voler incontrare per forza Blanche. La follia di Jane non ha limiti di decenza: offre alla sorella, per cena, prima il canarino che lei aveva in camera, poi un topo. Blanche è senza via di uscita, non può fare nulla, inchiodata sulla sedia e nella stanza, nell’universo delle sue quattro mura; metafora potentemente resa dall’inquadratura dall’alto di Blanche che ruota isterica su se stessa sulla sedia a rotelle.
La casa dove le due donne vivono subisce la stessa trasformazione che avviene nella mente di Jane. All’inizio solare, lussuosa e magnifica si trasforma pian piano in un ambiente cupo, desolato e pericoloso. La scala splendidamente sontuosa diventa una trappola per Blanche che è costretta a trascinarsi a forza lungo la ringhiera per poter raggiungere il telefono e sperare in un barlume di speranza. Le ombre che si allungano negli ambienti e sui personaggi sembrano essere la manifestazione fisica della pazzia che da anni cova tra quelle mura, e che ormai la casa stenta a contenere. La facciata esterna, luminosa ed elegante nasconde sotterranei marci nei quali vivono i topi.
L’orrore è sepolto sotto una maschera di apparenza e decenza. Jane è totalmente spietata, la sua unica ragione di vita diventa il suo rientro nel mondo dello spettacolo. E per lei Blanche diventa solamente un peso. Arriva anche a dimenticarsi di portarle l’acqua e il cibo. La tiene legata ad una staffa in una posizione inumana pur di non permetterle di scendere dal letto. La Davis è maestra nel portare all’estremo le sue emozioni, passando da una dolcezza bambinesca ad una follia allucinata con una facilità che lascia sconvolti. Basta una parola sbagliata dell’interlocutore per vedere la tenerezza sfocare attraverso gli occhi spalancati di Bette nella furia omicida.
In tutta la pellicola però c’è un momento in cui Jane sembra prendere coscienza della sua follia. Dopo aver recitato per l’ennesima volta la poesia che recitava da bambina rimane a fissarsi allo specchio. L’immagine le riporta la realtà del suo volto segnato dall’età e dallo squilibrio. La maschera che si è costruita sembra per un momento scivolare via e lei si ritrova sotto lo sguardo impietoso del tempo che le urla in faccia la verità: Baby Jane non esiste più, e non potrà mai tornare sul palco.
In realtà il film ci mostra la meschinità che può esistere nel mondo del cinema. Nessun personaggio è realmente innocente. Non lo è Jane, in quanto torturatrice e assassina, non lo è Edwin, che sfrutta la follia e l’illusione di Jane pur di avere del denaro. Ma neanche Blanche è innocente. Il colpo di scena finale ribalta totalmente i ruoli. Quella che si supponeva essere la vittima è in realtà il crudele carnefice.
La metafora è potente, Blanche si è virtualmente chiusa in casa da sola, ed ha costretto Jane a seppellirsi con lei. Due donne sole, dimenticate dal pubblico che vivono solamente dei fasti di un passato che le ha abbandonate.
La rivalità tra le due attrici ebbe un effetto eccezionale sulla loro interpretazione. Le due donne sembravano realmente parlare di loro stesse durante i loro scambi di battute. I veleni e le ripicche che si scambiano non sembrano essere rivolte ai personaggi, ma alle loro interpreti. Bette Davis sembra godere realmente delle sevizie a cui deve sottoporre la collega.
Bette Davis e Joan Crawford sono due stelle di prima grandezza che vogliono primeggiare l’una sull’altra e non si risparmiano i colpi bassi pur di scavalcarsi a vicenda. Famoso è l’episodio in cui Bette schiaffeggia veramente con forza Joan. Di rimando nel finale, quando Bette deve trascinare il corpo esanime di Joan, quest’ultima farà di tutto per essere ancor più pesante da trasportare, con dolorosi risultati per la schiena di Bette. Le due star credevano in questo film ed avevano l’ultima parola su tutto. La Crawford dovette rinunciare alle sue proverbiali spalline, inadatte per la parte di una donna indifesa e sofferente. Dall’altro lato fu la Davis a creare il suo trucco per rendersi adeguatamente grottesca. Robert Aldrich dirige il film con mano sicura, lasciando crescere la tensione e la follia scena dopo scena. Il bianco e nero rende l’atmosfera ancor più gotica e decadente, le ombre nella casa sembrano dipingere l’atmosfera e rendere palpabile i sentimenti delle due donne. Per l’epoca sembra essere una legge non scritta quella di girare film thriller in bianco e nero. ‘Psycho’ è del 1960, e il successivo film di Aldrich ‘Piano… Piano dolce Carlotta’, sempre con la Davis protagonista, sarà girato anche quello in bianco e nero. Questa pellicola lancia, tra l’altro, quello che verrà definito il filone thriller dei “delitti menopausali”, una serie di pellicole che vedranno sul grande schermo il ritorno di vecchie attrici, a volte anche dimenticate, in ruoli di folli signore anziane implicate in trame delittuose.
La stessa Davis, oltre a “Piano… Piano dolce Carlotta” reciterà anche in “The nanny – la governante” del 1965 diretto da Seth Holt, mentre la Crawford sarà la protagonista del thriller “5 corpi senza testa” del 1964, diretto dallo specialista di spaventi William Castle. Ma saranno molte le attrici che cercheranno una rinascita cinematografica nel campo della suspance, con alterni risultati. Ma Baby Jane rimarrà sempre la prima e probabilmente la più folle di tutte. All’epoca venne stampato un disco con la canzone del film interpretata, con garbata ironia, dalla Davis stessa.
questo film mitico ebbe una trasposizione: Che fine ha fatto Totò Baby, nato come una parodia, si trasforma in ferocissima e sadica tortura al povero Pietro De Vico
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