Jean-Louis Trintignant, “il coraggio di un albero verde”

di Marzia Procopio

Jean-Louis Trintignant compie oggi 90 anni. Nato a Piolenc, piccola località della Provenza, l’11 dicembre 1930 da una famiglia alto-borghese, al cinema esordì, dopo il teatro giovanile, con il film di Roger Vadim E Dio creò la donna (1955), al fianco di Brigitte Bardot. Dino Risi lo volle nel 1962 ne Il sorpasso, accanto a Vittorio Gassman, nel ruolo che gli regalò fama e affetto in Italia, quello del mite studente Roberto Mariani; ma già prima l’attore aveva recitato in Estate violenta (1959) di Valerio Zurlini, dove interpretava un altro timido, figlio di un gerarca fascista, che si innamora di una bella vedova di guerra.

Fin dai suoi esordi conosciuto come interprete misurato di personaggi schivi e apparentemente passivi, scaraventati nelle diverse situazioni per volontà più altrui che propria, ha recitato anche ruoli eccentrici, come il killer muto del western Il grande silenzio (1968) di Sergio Corbucci o l’intellettuale marito dell’allevatrice di polli Gina Lollobrigida nel dramma grottesco di Giulio Questi La morte ha fatto l’uovo (1968). Il suo primo cattivo – un gelido membro di un gruppo di estrema destra sullo sfondo della guerra d’Algeria che si lascia coinvolgere in un tentativo di attentato – glielo fece fare Alain Cavalier in Gli amanti dell’isola (Le Combat dans l’île, 1962), poi Bertolucci ne Il conformista (1970). Anche in Flic Story (1975) di Jacques Deray interpretava un cattivo, lo spietato criminale di nome Emile Buisson. «Se faccio questo mestiere è perché la gente mi interessa, cerco di capirla, e la gente è più interessante per i suoi difetti».

Jean-Louis TRINTIGNANT in Un uomo, una donna di Claude LELOUCH

Lavorò molto con Vadim e Costa-Gavras, vincendo con quest’ultimo, nei panni del giudice del bellissimo thriller politico Z – L’orgia del potere, la Palma d’oro a Cannes nel 1969. Il maggior numero di film lo ha girato con Claude Lelouch, di cui è inevitabile ricordare Un uomo, una donna (1966), dove interpreta il ruolo di un pilota automobilistico come erano stati suo nonno e un suo zio, Maurice Trintignant, e che gli diede la fama internazionale, e i due sequel: il poco convincente Un uomo, una donna oggi (1986), e I migliori anni della nostra vita (2019), ancora su Anne e Jean-Louis, cinquant’anni dopo. Di Lelouch, Trintignant ha detto che, pur avendo 81 anni all’epoca delle riprese, aveva ancora un ottimismo incrollabile e che sul set c’era sempre molta allegria. Un giorno gli confidò: “Credo che morirò presto” e Lelouch gli rispose con una risata che la morte “è la ricompensa, la medaglia che ci danno alla fine della vita”. E poi ancora Rohmer, René Clement, Chabrol, Alain Robbe-Grillet.

Nel 1983 recitò nell’ultimo film di Truffaut, Finalmente domenica!, accanto a Fanny Ardant, e dopo la regia de L’estate prossima (1985) e un incidente stradale che gli impedì di lavorare per qualche anno, Trintignant tornò al cinema con l’ultimo film di Krzysztof Kieślowski, Tre colori – Film rosso nel 1994, che gli valse una nomination come miglior attore ai Premi César. Con Haneke ha girato due film: Happy End nel 2017 e soprattutto, nel 2012, Amour – Oscar al miglior film straniero e Palma d’oro a Cannes nel 2013 – in cui è intenso, indimenticabile protagonista, insieme alla magnifica Emmanuelle Riva, del dramma di una coppia di anziani insegnanti di musica in pensione, Georges e Anne, che trascorrono il tempo leggendo, andando ai concerti, vedendo vecchi allievi o la loro figlia. Quando, improvvisamente, un ictus colpisce Anne, che Georges assiste amorevolmente e coraggiosamente, la loro vita cambia radicalmente: una prova magistrale per un attore a cui gli anni hanno aggiunto un’intensità rara e dolente. 

Il cinema italiano lo ha sempre amato: con lui hanno girato Risi, Bertolucci, Corbucci, Festa Campanile, Patroni Griffi, Comencini, Zurlini, Scola e Amelio; nel 1972 rifiutò a Bertolucci il ruolo che poi fu di Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi.

Si è sposato quattro volte, ha avuto tre figli, di cui sono morti Pauline, piccolissima, e tragicamente l’adorata Marie. Ha sempre preferito il teatro al cinema, perché il teatro gli permetteva di sperimentare ogni sera cose nuove, testi e poesie che parlavano di vita e di morte con quella mescolanza di dolcezza e di ironia, dolore e leggerezza che sono stati sempre la sua cifra: le poesie di Prévert, Caro fratello bianco del poeta e uomo politico senegalese Léopold Senghor, la Marche à l’amour di Gaston Miron, dedicata a Marie, ammazzata di botte nel 2003 dal compagno, il cantante Bertrand Cantat, voce del gruppo Noir Désir. «Il mio coraggio – dice a un certo punto in questa pièce – è un abete sempre verde».

È la forza che gli ha permesso di calcare i palcoscenici fino al 2017 quando, gravemente malato di cancro e ancora distrutto dal dolore mai superato per la morte della figlia, ha annunciato a sorpresa il ritiro dalle scene. Malinconico ma leggero, giudica con severità anche un lavoro per il quale non si è mai sentito tagliato: «In fondo non ero fatto per un mestiere pubblico. Ero incredibilmente timido e poi la notorietà non mi ha mai interessato, la prima volta può essere divertente, poi non più. Anche i premi non li capisco: in fondo noi attori siamo già molto ben pagati, farebbero meglio a dare gli Oscar a chi fa mestieri più duri». Si dice di lui che sa “usare una lente del cuore”. Nei suoi lineamenti delicati, nel suo sguardo limpido ritroviamo impegno, dedizione, gentilezza: qualità che ce lo hanno sempre fatto sentire come se fosse anche un po’ nostro.

Buon compleanno, Jean-Louis!


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