Il mio piede sinistro, di Jim Sheridan (IRL 1989)

di Andrea Lilli –

La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti. È uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico.

Pablo Picasso

Christy Brown (1932-1981) è stato un pittore, poeta, scrittore, nato con una paralisi cerebrale in una famiglia operaia della periferia di Dublino, nono di tredici fratelli in vita (altri nove morirono in età infantile, per un totale di ventidue figli. Gli irlandesi non scherzano su certi dogmi cattolici).

Chi sono i nemici di Christy Brown? Possiamo dividerli in tre categorie. Nemici interni: le gravi difficoltà nel parlare, l’impossibilità nell’eseguire e controllare la maggior parte dei movimenti, eccetto quelli della gamba sinistra. Nemici domestici: l’indigenza proletaria, l’obbedienza alla Chiesa, il padre ottuso e autoritario (non sempre. Ogni tanto è un buon alleato). Ma il nemico peggiore sta fuori, nel mondo esterno: il pregiudizio degli altri, i Normali. Siano quelli che disprezzano “i minorati” e li allontanano con fastidio o paura, siano quelli che compatiscono “gli infelici” e li isolano caritatevolmente in appositi recinti. O infine gli spregiudicati, quelli che li prendono, “i poverini”, ma solo per raggiungere qualche obiettivo personale, e poi li mollano quando non servono più.

Christy Brown impara dalla nascita a resistere, a respingere tutti questi nemici della sua crescita con due sole armi: l’intelligenza e l’arte, e un solo soldato ancora utile: il piede sinistro. Stretto in una casa piccola, fredda, trasportato su una carriola di legno perché anche la sedia a rotelle è un lusso, Christy non si arrende, impara a disegnare e a scrivere in punta di piede, steso per terra, tenace. A differenza di altri disabili più fortunati non gode di congegni elettronici, di computer. Coi primi segni tracciati col gesso sul pavimento dimostra che non è un cretino come tutti pensano (tranne la madre): anche se non riesce a parlare, se il suo corpo non risponde, il suo cervello funziona, veglia sempre. Non solo sa fare i calcoli, dipingere, scrivere poesie: sa pianificare imboscate e furti di carbone ai danni dei trasportatori.

Una terapista volonterosa convince i genitori a far ricoverare Christy in un centro riabilitativo, per aiutarlo a sviluppare le sue potenzialità. I disegni sbalordiscono, gli chiedono di esporli in gallerie d’arte. Finalmente si compra la carrozzina, porta soldi a casa, ossigeno per tutta la famiglia. La sua autobiografia My Left Foot (1954) fa scalpore. Il romanzo successivo diventa un best seller internazionale, il titolo è Down All the Days (1970), pubblicato in Italia col titolo Dal fondo della vita. Pubblica altri libri, raccolte poetiche. Sposa una sua assistente, Mary, molto più giovane di lui. Muore a 49 anni per soffocamento, durante una cena a casa sua: un incidente banale, una distrazione di cui qualcuno incolpa la moglie, giudicata come donna equivoca e opportunista. Ma di quest’ultimo tragico episodio non si parla nel film di Sheridan, che evita di soffermarsi sul personaggio di Mary Carr.

Jim Sheridan (Dublino 1949) realizza a quarant’anni questo film, il primo della sua carriera. Otto anni dopo la morte del concittadino Christy Brown, ne porta su pellicola l’autobiografia e lo fa interpretare da Daniel Day-Lewis, londinese con ascendenze irlandesi e doppia cittadinanza. Regista e attore dosano dramma e humour nelle giuste dosi, affrontano temi scandalosi ma con dignità, senza tanti strepiti. My Left Foot (The Story of Christy Brown) ottiene numerosi riconoscimenti, tra cui due Oscar: al miglior attore protagonista e alla miglior attrice non protagonista (Brenda Fricker, la madre di Christy). Sheridan e Day-Lewis gireranno insieme altri due film intrisi d’Irlanda, e di IRA: Nel nome del padre (1993) e The Boxer (1997). Ma ne Il mio piede sinistro la performance dell’attore è davvero straordinaria, convincente ben oltre il necessario per ricevere il primo dei suoi tre Oscar (record per un protagonista maschile). Una carriera che Day-Lewis ha deciso di terminare quattro anni fa, a sessant’anni. Peccato, ma gli auguriamo di godersi la pensione.

Prima delle riprese di questo film, per meglio entrare nella parte aveva frequentato per mesi la famiglia Brown e un istituto per disabili. La sorella minore di Christy, Ann, ha dichiarato al Sunday Independent, giornale di Dublino: – La performance di Daniel fu incredibile, per me e per la maggior parte della mia famiglia ancora viva allora. Ma era ancor più emozionante perché durante le riprese restava nel personaggio anche dietro le quinte. Ricordo di essere entrata nella mensa e qualcuno gli stava dando da mangiare nello stesso modo in cui nutrivamo Christy, e l’ho trovato davvero sconvolgente perché era come guardare mio fratello -. Non è inferiore la prova del giovane Hugh O’Conor, nei panni di Christy ragazzino.

Il rischio di questo genere di film (vogliamo chiamarli disability movies?), è sempre quello di scivolare dalla padella del patetico alla brace del pedagogico, diluendo la sofferenza e il piacere, la rabbia e la gioia dei protagonisti veri con interpretazioni di attori normodotati che, per quanto bravi, non riescono a bucare lo schermo, a prendere per il collo lo spettatore medio, uno ‘straniero’ dell’handicap più disposto alla lacrima che al mal di stomaco. E così, pur unendoci all’applauso per la regia equilibrata ma pungente, e per il grandissimo Daniel Day-Lewis, vedendo scorrere i titoli di coda ci restano due dubbi.

Che film sarebbe stato, se ad interpretare Christy Brown fosse stato un attore affetto veramente da paralisi spastica? O avremmo dovuto affrontare una visione troppo scomoda? Siamo in grado di apprezzare la pittura, la poesia e la narrativa di un disabile a prescindere dai suoi guai fisici: perché non la recitazione? Il secondo dubbio: perché non rappresentare tutta intera la biografia di Brown, matrimonio controverso compreso? Probabilmente l’ultimo segmento della sua vita sarebbe stato meno eroico sullo schermo, meno edificante. Ma non per questo meno umano, anzi.

  • Il film è disponibile online su diversi siti

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