Di A.C.
La spiaggia è spesso un ambiente ricco di simboli, significati e mistero, in grado di ispirare momenti di riflessione. Ed è uno scenario che l’arte non ha mai mancato di rappresentare per il suo grande potere suggestivo, soprattutto il cinema.
Spesso luogo di svago, evasione, smarrimento, meditazione, malinconia, liberazione o presa di coscienza di sé stessi e del mondo.
Nella storia della settima arte, infatti, troviamo diverse opere dove l’ambientazione della spiaggia trova una sua centralità, che sia per l’intero racconto o solo per alcune singole sequenze.

The Land Beyond the Sunset, di Harold M. Shaw (1912)
Opera tra i primi reperti del cinema muto americano e certamente tra le primissime ad intuire la forte componente emotiva che traspariva dai racconti di esclusiva prospettiva infantile.
E nella sequenza finale il piccolo protagonista vagabonda per la spiaggia in fuga da una vita dolorosa, prendendo il largo con una barchetta in cerca di quel luogo fantastico in cui evadere da ogni sofferenza e preoccupazione.

Le vacanze di Monsieur Hulot, di Jacques Tati (1953)
Nel capolavoro di Tati la spiaggia è teatro di totale distruzione delle ritualità vacanziere, dove l’elemento di comica imprevedibilità sconvolge le abitudini e le convenzioni degli ospiti di un villaggio vacanze, assorti nell’eccessiva programmaticità della propria vita e nella fretta di passare agli step successivi.
L’iconico Hulot è elemento anarchico e caotico che si contrappone a rigorosi schematismi sociali, riuscendo così a mettere in risalto la poesia nella semplicità di chi fischietta passeggiando.

I 400 colpi, di Francois Truffaut (1959)
Celebre ed emblematico come pochi il finale struggente del primo lungometraggio di Francois Truffaut, capofila della Nouvelle Vague.
La corsa in spiaggia di Antoine Donel come un grido di libertà di un’infanzia incompresa e tenuta in catene dalle restrizioni degli adulti. Ma anche l’amarezza di quel fermo immagine sullo sguardo di chi ormai comprende l’inevitabile e doloroso ingresso nell’età adulta e tutto ciò che ne consegue.

La dolce vita, di Federico Fellini (1960)
Probabilmente mai nessuna sequenza come il finale dell’opera di Fellini ha trasformato la calma apparente di una spiaggia in un vero proprio scenario infernale.
Perché quel misto di vento e mare che spesso associamo ad un suono rilassante qui non è altro che una barriera che impedisce al protagonista Marcello di riabbracciare una speranza di salvezza, rassegnandosi di fatto al suo amaro destino.

Casotto, di Sergio Citti (1977)
Nell’opera corale di Sergio Citti è la spiaggia di Ostia a fare da scenario, tramite gli interni di una grande cabina collettiva, di un racconto in cui si intrecciano le storie di un’umanità grottesca e da dimenticare.
Sotto il caldo di agosto la fanno da padrone gli ardori della carne, tra vari tentativi di seduzione per le finalità più egoistiche e bieche e da cui ne esce fuori uno spaccato sociale quanto mai lucido e pungente.

Pauline alla spiaggia, di Eric Rohmer (1983)
Nel terzo episodio del ciclo Commedie e proverbi di Rohmer la spiaggia è cornice delle vicende sentimentali della giovane Pauline, la quale si confronterà presto con le contorte dinamiche relazionali degli adulti tra bugie, ipocrisia ed irrazionalità.
In una placida atmosfera estiva che concilia raffinatezza ed erotismo Rohmer tratteggia con estrema precisione la crescita interiore di un’adolescente, che alla fine del racconto acquisirà maggiore consapevolezza della propria persona.

Sonatine, di Takeshi Kitano (1993)
Piuttosto intenso l’elemento della spiaggia nel tragico yakuza-movie di Kitano, dove acquisisce una dimensione onirica e di pura evasione.
Un momento di spensieratezza e di felicità genuina di un gruppo di vite sacrificate alla crudeltà del mondo criminale, giusto un attimo prima che l’atroce realtà venga a presentare il conto spezzando così quel breve idillio.
recentemente, non è da dimenticare Old
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