Alice nelle città, di Wim Wenders (RFT 1974)

di Girolamo Di Noto

Considerato da molti critici e spettatori il capolavoro di Wim Wenders, Alice nelle città narra la storia di un viaggio tra l’America e l’Europa di un giornalista e fotografo in forte crisi professionale, Philip Winter, che vorrebbe scrivere una storia ma è capace solo di scattare polaroid e una bambina di nove anni, di nome Alice (la bravissima Yella Rottländer), conosciuta in aeroporto con la giovane madre. La donna, che ha delle faccende personali da risolvere, lo prega di portare con sé sua figlia: lei li raggiungerà il giorno dopo. Ma all’appuntamento non si presenta nessuno e Philip si trova a dover badare ad una bambina e si incarica di portarla in giro per la Germania alla ricerca della nonna cui poterla affidare.

Primo film della cosiddetta trilogia della strada, assieme ai successivi Falso movimento e Nel corso del tempo, tutti interpretati dall attore feticcio di Wenders, Rüdiger Vogler, Alice nelle città mette in scena, in maniera folgorante ed essenziale, il tema principale del regista tedesco: il viaggio, inteso come percorso interiore, occasione per constatare la frattura dell’individuo da una realtà sempre estranea e diversa, ma anche una riflessione, soprattutto nella seconda parte del film, sulla possibilità di recuperare un senso alla vita se ad essa ci accostiamo con uno sguardo più innocente e rinfrancato.

Nella prima parte del film, Philip è solo, deve scrivere un reportage sulla civiltà americana, è in continuo movimento, ma le parole si fanno portavoce di silenzi, di vuote figurazioni. Lo vediamo seduto sotto un pontile, annoiato, capace solo di raccogliere polaroid, consapevole dell’impossibilità da parte della fotografia di sottrarre gli oggetti al divenire della realtà. Il suo sguardo non può far altro che documentare quello che ormai è già stato, è già passato. Philip, inoltre, percorrendo le strade americane, deve fare i conti con una società alienante, fondata sull’omologazione, sulla presenza di non-luoghi nei quali è impossibile identificarsi. America, terra di immagini. Fatta di immagini. Immagini e segni ovunque, su enormi pannelli, fotografie, luci al neon. Le solite ampie strade, sempre e null’altro che motel, stazioni di servizio, cartelloni pubblicitari. Un paesaggio monotono e estraneo. Philip si rende conto che la strada non è più quello spazio in cui possono capitare delle avventure che aiutano il protagonista a diventare un soggetto forte. La strada non offre che solitudine.

Il viaggio non porta in nessun luogo se non all’esperienza che il procedere è sempre un retrocedere. I luoghi che incontra (che dovrebbero permettergli di dire di essere arrivato, di dire finalmente “ci sono”) sono solo tracce di uno smarrimento. Ha visto dei posti, li ha perfino fotografati, ma nel contempo non può che ammettere di esserci mai stato. La prima parte del film è la condizione di un uomo che avanza in perpetua corsa alla ricerca disperata d’una terraferma, che non riesce tuttavia a scorgere, a fissare saldamente. Questo continuo peregrinare si fa segno di un falso movimento, come quel camion impazzito, nel film La ballata di Stroszeck di Herzog, che gira vorticosamente su se stesso, senza guida, all’infinito. Gira su se stesso Philip e il suo movimento è sempre un ‘uscire da’ piuttosto che un ‘entrare in’ un luogo. I pontili, le strade non portano da nessuna parte, non annunciano ombra di terra straniera, sono luoghi pervasi da una stagnazione del senso. Si delinea così il profilo di un personaggio fermo nel movimento perché in continuo peregrinare verso mete provvisorie, precarie, di volta in volta raggiunte, ma sempre continuamente perdute.

Il nostro protagonista non può far altro che fotografare tutto ciò che sta per abbandonare (l’auto venduta all’arrivo a New York, l’editore che ha rifiutato la sua ‘storia’ di cose che si vedono con le foto), non può che – nei momenti di pausa del viaggio – rifiutare e disprezzare le immagini ‘in movimento’ trasmesse dal mezzo di omologazione per eccellenza, la televisione, che in continuazione e in modo invadente sforna messaggi di propaganda, “immagini che diventano alla lunga pubblicità… Tutte vogliono qualcosa da noi”.

Il senso dell’impossibilità di ritrovare, come direbbe Rilke nelle Elegie duinesi, “una terra feconda tra fiume e roccia” dove potersi fermare, troverà una possibile tregua nell’incontro con Alice. La vita di Philip ha una svolta quando incontra la bambina. C’è un rapporto di iniziale diffidenza tra loro: lui, dapprima infastidito, man mano comincia ad affezionarsi ed è conquistato dagli slanci di tenerezza e curiosità della bambina.

Nasce una tenera storia di amicizia tra loro e il viaggio (di ritorno) assume, nella seconda parte del film, un significato diverso: c’è innanzitutto una meta dove andare (certo, non è precisa, ma è concreta) e poi, lungo il percorso, Philip, grazie alla vitalità di Alice, ritroverà entusiasmi, riscoprirà la visione innocente delle cose. La spontaneità e la sincerità della bambina metteranno a nudo problemi più importanti che quello del continuo ‘scarabocchiare’, lo costringeranno a confrontarsi col proprio passato, lo metteranno nella condizione di prendersi più cura di sé. Il rapporto con la realtà cambierà: la bambina gli rivolgerà domande sul suo lavoro, sulle sue relazioni, sulle sue paure e anche la riflessione sull’impossibilità della fotografia di fissare lo scorrere del tempo viene inquadrata in un contesto più roseo: indimenticabili le foto buffe che si scattano nella macchinetta, testimonianze di una complicità sempre più familiare, la foto

che scatta Alice a Philip “per farti vedere come sei”, e infine quella della casa della nonna, unico appiglio che hanno per poterla cercare, che racchiude sempre quell’idea che l’immagine rappresentata non corrisponde alla realtà (quando i due raggiungeranno la casa, la troveranno abitata da altre persone), ma tutto è visto non più sotto uno sguardo desolante, ma dentro un barlume di speranza. Philip ha capito che è necessario smarrirsi per ritrovarsi, e la purezza di Alice, la sua innocenza gli permetteranno di tornare più rinfrancato, con la certezza di imboccare una nuova strada e ricominciare una nuova vita.


 

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