di Bruno Ciccaglione

Più di ottanta anni dopo la sua uscita, Citizen Kane (Quarto Potere) sembra essere ancora una spina nel fianco dell’establishment di Hollywood, come dimostra un film come Mank, che continua a diffondere il falso mito creato da Pauline Kael negli anni ’70 sulla paternità della sceneggiatura, ma che è un film la cui stessa esistenza è possibile solo all’ombra del capolavoro di Welles.
Chi ha conosciuto Welles e ha lavorato con lui, prima durante e dopo Citizen Kane, sa che non si faceva scrupoli di “correggere” perfino Shakespeare! A teatro continuava a modificare tutto ad ogni messa in scena; al cinema – come testimoniano decine di collaboratori mai intervistati da Kael – continuava a dettare alla sua segretaria nuove soluzioni per le scene e nuovi dialoghi sul set, perfino mentre era al trucco (molte ore al giorno, durante le riprese di Citizen Kane), non avendo alcun timore reverenziale verso nessuno (giungerà anche a cambiare il finale del romanzo di Kafka per il film Il processo).
Chi pensa che l’uomo cui Bertolt Brecht pensava per dirigere in teatro Vita di Galileo, si attenesse sul set al primo copione fornitogli da un letto di ospedale da un ottimo sceneggiatore, ma della vecchia guardia di Hollywood, per un film in cui fa l’attore protagonista, il regista e spinge al limite ogni aspetto tecnico e artistico del film, con una libertà e una sfrontatezza che nessuno a Hollywood si era mai potuto permettere, allora rischia di non cogliere le novità che fanno di Citizen Kane un film che ancora è capace di parlarci in modo attuale.

Ciò che rendeva rivoluzionario il film, infatti, era proprio il fatto che lungi dal concentrare la spinta innovativa e creativa su uno solo degli innumerevoli elementi che compongono un film (la sceneggiatura, la fotografia, la recitazione, le musiche, le scenografie, il montaggio, la regia ecc.), risultando il film da un processo che il sistema hollywoodiano parcellizzava, creando grande specializzazione, ma anche standardizzazione formale e di contenuti, centralizzava nella propria figura di regista il controllo di tutti gli elementi, ciascuno dei quali teso a esplorare soluzioni sino ad allora mai realizzate e ciascuno reso coerente dalla visione unitaria del solo vero autore del film, Orson Welles.

Il film di tipo nuovo che Welles realizza è l’opera di un artista/autore, che si realizza grazie ma anche malgrado l’industria di intrattenimento di Hollywood. E infatti si tratterà del primo e unico caso, nella travagliata carriera cinematografica di Welles, in cui questo gli sarà consentito dal sistema hollywoodiano. Welles, forte di un clamoroso successo in radio e una esperienza teatrale già solida, ottiene per il suo debutto a 25 anni una libertà creativa e un budget che molti suoi colleghi della generazione precedente non avranno mai.

A far gonfiare di rabbia i detrattori di ieri e di oggi, si deve anche aggiungere che il Welles che vediamo in scena nei panni del giovane Kane è semplicemente bellissimo (di questo si schernirà nelle interviste successive e cercherà di attribuire tanto fascino al fatto di aver indossato un busto per sembrare più magro e ad un trucco altrettanto miracoloso di quello delle scene da vecchio).

Il titolo in italiano Quarto potere è in parte fuorviante, perché l’impero editoriale di cui il protagonista Charles Foster Kane sarà il capo nella vicenda raccontata, non realizza affatto uno strapotere con cui Kane realizza tutto ciò che desidera. Al contrario, una delle novità tra le altre del film è proprio che si tratta forse del primo caso – per Hollywood – in cui la ricchezza, il potere e il denaro non solo non danno la felicità al protagonista, quanto piuttosto rappresentano un ostacolo al suo conseguimento. D’altra parte il titolo originale, con la sua enfasi sulla parola “cittadino”, faceva propria la retorica in stile New Deal che ambiguamente e strumentalmente il personaggio di Kane utilizzava.

Con Charles Foster Kane Welles realizza al cinema, infatti, il primo della serie di personaggi imponenti e spregevolmente affascinanti della sua carriera sia di attore che di regista, ispirato per molti aspetti dal magnate della stampa William Hearst (ma non solo), motivo per il quale il film subirà un boicottaggio durissimo negli USA, promosso dal sistema mediatico di cui Hearst disponeva e che segnerà già all’esordio la fine dell’idillio tra Welles e Hollywood. Tra l’altro si rischiò seriamente che la campagna di Hearst portasse alla distruzione del negativo del film.

Ricordato dagli appassionati soprattutto per le peripezie tecniche con cui è realizzato (la cosiddetta profondità di campo, ottenuta con l’uso di obiettivi generalmente poco utilizzati e l’uso innovativo delle luci; gli spettacolari piani sequenza; le inquadrature dal basso che davano una drammaticità nuova all’insieme; ma anche, per stare alla recitazione, la tecnica dell’accavallamento delle battute nei dialoghi, ripreso dall’esperienza della radio, che dava un nuovo ritmo ad ogni scena), Citizen Kane è un film che mostra per la prima volta al cinema una quantità di soluzioni nuove in ogni ambito della realizzazione (sopra tutte forse il ruolo della fotografia, con Greg Toland il cui nome appare per la prima volta nei titoli, con la figura dell’operatore che viene trasformata in quella del direttore della fotografia). Inoltre Welles dalla radio porta con sé Bernard Herrman – che diventerà uno dei più grandi autori di colonne sonore di tutti i tempi – col quale costruisce un modo di relazionarsi tra immagini e musica completamente nuovo: la musica diventa uno degli elementi qualificanti della estetica del cinema e viene utilizzata a fini drammatici.

È come se Welles volesse mostrare i muscoli: rivisto oggi, forse si coglie uno sforzo non sempre necessario (qualcuno parlerà di barocco della regia). Jorge Luis Borges, nella sua recensione al film nella Revista Sur n. 83/1941, pur cogliendo la genialità e le novità formali di Welles, scriverà: “Mi permetto di sospettare, tuttavia, che Citizen Kane durerà come “durano” alcuni film di Griffith o di Pudovkin, il cui valore storico non è negato da nessuno, ma che però nessuno ha gran voglia d rivedere”. Borges lo trova freddo, pedante. Geniale, ma “nel senso più notturno e tedesco di questa brutta parola”.

Se essere messo, sia pur criticamente, sullo stesso piano di Griffith o di Pudovkin da Borges è molto più di quanto un qualsiasi regista potrebbe mai domandare nella vita (con buona pace di Fincher), Welles e il suo ego non lo ritenevano affatto sufficiente a considerarsi soddisfatti. Welles riteneva del resto Griffith molto più innovativo di sé, da un punto formale, ma il film che aveva rivisto ininterrottamente in sala proiezioni per giorni, spesso in compagnia di tecnici e collaboratori, come fosse il suo testo di grammatica da studiare prima di mettersi dietro la macchina da presa, era stato Ombre rosse di John Ford.

Del resto, l’aspetto di Citizen Kane cui Welles teneva di più – e quello forse più innovativo – non riguardava tanto gli aspetti tecnici, quanto la forma complessiva della narrazione, la cui linearità – per la prima volta nella storia del cinema – è frammentata, con continui sbalzi temporali, combinati a cambi di prospettiva. L’inchiesta sulla vita di Kane che il giornalista compie intervistando alcuni dei personaggi chiave che lo hanno conosciuto, si realizza attraverso i racconti di vari testimoni, ciascuno dei quali non solo ripercorre in modo non cronologico episodi della vita di Kane, ma ciascuno dà di essi una chiave di lettura diversa. Non solo dunque, la capacità di far apparire come naturale e scorrevole una narrazione non lineare, ma anche qualcosa di analogo a quanto nove anni dopo farà Kurosawa con Rashomon, con i medesimi episodi raccontati da prospettive diverse.


Altrettanto nota e autorevole, proprio a proposito della forma narrativa non convenzionale, fu la stroncatura che del film diede Jean Paul Sartre, che davvero non comprese quel che Welles aveva fatto alle convenzioni cinematografiche, tanto da scrivere che “l’intero film è basato su un’idea sbagliata di che cosa sia il cinema. Il film [Citizen Kane] è coniugato al passato, mentre noi sappiamo che il cinema deve essere nel tempo presente. ‘Io sono l’uomo che sta baciando, io sono la ragazza che viene baciata, io sono l’Indiano che viene inseguito, io sono l’uomo che sta inseguendo l’Indiano’. E un film raccontato nel tempo passato è l’antitesi del cinema. Quindi Citizen Kane non è cinema”. Sul perché di tanto livore, qualcuno ha maliziosamente ipotizzato la gelosia, visto che Simone De Beauvoir pare avesse un debole per Welles.

Si incaricherà Bazin, in una polemica a distanza col filosofo dell’esistenzialismo, di chiarire le ragioni teoriche per cui invece Citizen Kane era il primo passo di un cinema moderno che rompeva con il cinema precedente. A noi resta la prova dei fatti di una narrazione che lo spettatore riesce a seguire con una totale naturalezza ancora oggi, proprio perché ha influenzato tutto il modo di fare cinema successivo.

Qualcuno ha rinvenuto elementi autobiografici, nel modo con cui Welles tratteggia Kane (la ricchezza, una infanzia con un tutore a curarne gli interessi, il cui nome Welles sceglierà per il personaggio del tutore di Kane del film ecc.). Ma Welles smentiva con forza: “Kane è nato povero e poi è diventato ricco. Io invece sono nato ricco e poi sono diventato povero!”. E forse, si è tentati di aggiungere, Welles è diventato povero proprio per colpa di Kane, per le conseguenze nefaste che questo film e l’ostracismo che lo accompagnarono avrebbero avuto per la sua carriera.
Quanta fatica per Welles rievocare e raccontare, anche molti anni dopo al suo amico biografo Peter Bogdanovich nel famoso libro intervista, tutto quanto riguardava Citizen Kane, il film che tutti ritenevano il suo capolavoro, ma anche una vetta secondo molti mai più raggiunta. Si percepisce lo struggimento legato a quel ricordo in ogni riga in cui Welles ne parla, per quel momento in cui tutto avrebbe potuto andare in un’altra direzione. Forse non è un caso che la figura che più affascinò Welles nel corso di tutta la vita, senza esser riuscito – emblematicamente – a completare davvero il film che per anni su quella figura avrebbe voluto realizzare, sia stata quella di Don Chisciotte…