Un americano a Roma, di Steno (Italia, 1954)

di Bruno Ciccaglione

Il protagonista è in un letto di ospedale, il corpo ricoperto di fasciature dalla testa ai piedi. Con lo sguardo malizioso si rivolge complice direttamente allo spettatore, cui svela, a dispetto del trattamento subito, di essere lo stesso che abbiamo visto per tutto il film. Sembra il finale di Arancia meccanica di Stanley Kubrick e invece è quello di Un americano a Roma di Steno, che si chiude appunto con il protagonista, interpretato da Alberto Sordi – testa e corpo fasciati – che cancella la scritta “FINE” dalla sovrimpressione, con un gesto che rompe la convenzione cinematografica, e la sostituisce con “THE END”.

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È paradossale che l’immagine di Nando Mericoni che mangia gli spaghetti sia diventata una icona dell’italianità, che campeggia ancora oggi nei ristoranti italiani di tutto il mondo. La scena – come a Sordi accadrà diverse volte nella sua carriera – è stata così inflazionata da aver suscitato e suscitare ancora i sentimenti più contrastanti, compreso il fastidio più assoluto. Il successo enorme del personaggio e di questa scena in particolare, ha in un certo senso portato a esiti che prescindono dal film o addirittura lo contraddicono. Infatti il valore catartico e liberatorio che riconosciamo al “maccarone” contrapposto alle “schifezze” da dare “ar gatto” o “ar sorcio”, nel film è solo una illusione. La scena fa parte del prologo del film, siamo ancora alla presentazione del personaggio e delle figure che lo accompagnano – per inciso, si tratta della parte migliore del film e questi primi minuti sono davvero esilaranti. La scena degli spaghetti è l’unico momento in tutto il film in cui Nando Mericoni ha un cedimento, rispetto alla sua mania filoamericana, cui ossessivamente e contro ogni logica non rinuncerà mai, fino alla scena già citata del finale.

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Forse il film avrebbe potuto avere uno sviluppo diverso, se la chiave della progressiva emancipazione dall’ossessione americanofila fosse stata quella scelta. Invece agli autori interessava di più mettere in ridicolo l’irriducibilità del personaggio, nonostante le conseguenze catastrofiche del suo modo di stare al mondo. Probabilmente con la loro intelligenza gli autori avevano colto e volevano evidenziare, pur in una commedia di cassetta, come Nando fosse in realtà un vincente e non lo sfigato che ogni tanto piagnucola di essere stato “rovinato dalla scarlattina”: l’americanizzazione del modello di vita, le mode, la musica, in un paese ancora povero e ignorante rischiavano di produrre un cataclisma, ma coincidevano con un sogno di libertà e soprattutto di fuoriuscita dalla povertà che alla fine, in modo tragicomico, avrebbe prevalso.

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Sostenere che ogni intento “alto” degli autori sia stato realizzato, tuttavia, sarebbe ampiamente fuori luogo. Del resto le premesse erano chiare: Lucio Fulci inventa il personaggio di Nando Mericoni per un episodio del film Un giorno in Pretura (1953) di Steno ed il successo commerciale è così grande che si decide di realizzare un film interamente dedicato a questo personaggio. La truppa di autori è la stessa: Sandro Continenza, Lucio Fulci, Ettore Scola, Alberto Sordi, Steno, scrivono soggetto e sceneggiatura. Anche se sono tutti ancora molto giovani, si tratta di personalità che contribuiranno in modo importante allo sviluppo del cinema italiano.

Come spesso avveniva allora, soprattutto nella commedia, la struttura si basa su quella di un altro film, ed in particolare su un film americano, 14a ora, diretto da Henry Hathaway. Nella pellicola americana un uomo minaccia di gettarsi dal quindicesimo piano di un grattacielo ed un poliziotto, parlando con lui, riesce dopo 14 ore a convincerlo a non uccidersi. Tra la folla che nel frattempo si raduna giù in strada, ci sono i personaggi che lo conoscono e ciascuno di loro racconta i frammenti di quella vita che ora si è spinta fino all’orlo del precipizio. È questo lo schema scelto anche dagli autori di Un americano a Roma: Nando, dopo aver visto al cinema proprio 14a ora, decide di salire sulla cima del Colosseo e di minacciare di gettarsi di sotto se il suo sogno di andare negli Stati Uniti non si realizzerà. Giù in strada, attraverso i racconti in flashback dei vari personaggi che lo hanno affiancato nelle sue peripezie, veniamo a conoscenza delle folli e tragicomiche imprese di Nando Mericoni, alias Alberto Sordi.

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Il film procede con questa serie di gag, alcune irresistibili, altre meno, tutte zeppe di riferimenti alla cultura nordamericana, sia quella sportiva – Joe Di Maggio su tutti – che quella cinematografica, o più in generale alla cultura popolare dell’epoca, in un modo che appare anche oggi molto ben documentato. Emblematica in questo senso è la scena in cui Alberto Sordi si cimenta con i Minstrels, la tradizione controversa che vedeva uomini di spettacolo bianchi travestirsi, con la paglietta ed il viso sporcato di tinta nera, i labbroni bianchi disegnati, da neri. Si trattava di una rappresentazione del rapporto tra bianchi e neri che solo in anni recenti i musicologi e gli esperti di musica afroamericana hanno riconsiderato: era l’unico modo consentito ai bianchi di mostrare quanto la cultura afroamericana li affascinasse, in un mondo che ancora non permetteva ai neri di esibirsi per un pubblico bianco.

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E veniamo infine ad Alberto Sordi, che con questo film, ancorché non impegnato nella regia, ma “solo” nel soggetto e nella sceneggiatura, inizia qui a costruire il personaggio pubblico che poi diventerà forse il più emblematico della commedia all’italiana e del cinema italiano. Potrebbe sembrare ovvio sottolinearlo oggi, ma nel 1954, quando il film uscì nelle sale, c’è da credere che la sua performance come attore fosse davvero dirompente, come del resto lo è ancora. Sordi in un certo senso è l’ultimo di una generazione di attori che erano cresciuti con le “comiche” (era stato il doppiatore di Ollio…), e dava alla fisicità della sua interpretazione una grande importanza. Anche se Sordi amava citare attori non comici come Gary Cooper tra i suoi modelli, inevitabilmente i nomi con cui si era formato erano i Chaplin e Keaton del muto, ma con l’aggiunta del sonoro. E quindi: controllo assoluto del corpo, capacità di cimentarsi non solo nella recitazione, ma anche nella danza (il suo “Santi Bailor” sa davvero ballare), capacità di passare dal tono comico a quello triste con grande rapidità: teatro, avanspettacolo, balletto.

Infine, e questo è il tratto nuovo che aggiunge ai modelli cui si ispirava, c’è la sua voce, semplicemente enorme, capace di un registro amplissimo, di colori diversissimi e contrastanti, attraversati da un momento all’altro con una facilità assoluta, oltre che naturalmente accompagnati da abilità canore invidiabili. Per quanto sia agli attori che al pubblico piaccia credere alle “doti naturali”, al “talento” o alla “ispirazione”, basta vedere un film come questo per capire che tutto, nell’interpretazione di Alberto Sordi, dall’uso della voce (che sussurra, parla, straparla, canta, urla) a quello del corpo (sportivo, motociclista, uomo di teatro, ballerino, bambino viziato, folle) è il frutto di un lavoro maniacale. Alle intuizioni geniali di alcune scene si aggiunge sempre una disciplina che poi diventerà proverbiale in tutta la carriera e che garantirà a Sordi una lunghissima presenza sulle scene.

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L’esempio più divertente, di questa maniacale dedizione al lavoro dell’attore Sordi, è nella scena in cui la pittrice americana (una “painter”, che per Nando vuol dire pantera…) in cerca di un modello per il suo dipinto su Nerone punta Nando Mericoni, mentre lui lavora come cameriere in un bar. Con una tecnica impeccabile, mentre eccitato dalle attenzioni dell’americana scherza con “Cicalone” (un giovanissimo Carlo Delle Piane), fa saltare una crêpe su una paletta da cucina per un paio di volte facendola ricadere perfettamente e con estrema naturalezza. Nulla veniva lasciato al caso, nelle sue interpretazioni. Se questo film ha dei difetti, ed indubbiamente li ha, non sono certo imputabili a Sordi, che invece riesce, come solo pochissimi altri attori hanno saputo fare, a rendere ancora piacevole – con alcuni momenti assolutamente sublimi – un film che poteva essere migliore, ma che resta comunque indelebile nel nostro immaginario.

🔴 Il film è disponibile su Youtube


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