di Federico Bardanzellu.

Compie novant’anni Monica Vitti, nata a Roma esattamente il 3 novembre 1931 e registrata all’anagrafe come Maria Luisa Ceciarelli. È stata sicuramente una delle grandi “dive” del cinema italiano. Lo è stata pur non essendo strepitosamente sexy come Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Claudia Cardinale e Silvana Mangano. Non le è mai mancata la bellezza ma, rispetto alle colleghe citate, ha potuto contare su “un tocco in più”: il diploma dell’Accademia d’Arte drammatica conferitole proprio da Silvio D’Amico. E scusate se è poco.
All’Accademia si fece notare da Sergio Tofano, suo insegnante, che gli fece fare esperienza in alcune brevi parti teatrali della serie “Il signor Bonaventura”. Sembra che sia stato proprio Tofano a consigliarle di adottare un nome d’arte. Cosa che, all’epoca, era pressoché la norma. La diplomanda scelse il nome – Monica – di un personaggio di un libro che stava leggendo. Per il cognome abbreviò quello della madre, Vittiglio.
«Per me recitare è un’attività che mette in ballo tutti gli elementi della nostra natura, le cognizioni e l’istinto. Per dominare le une e gli altri occorre un lungo studio, alla fine del quale si arriva al cosiddetto “sistema”. Il quale “sistema” non dovrebbe soffocare il temperamento di un attore, al contrario dovrebbe servire all’attore per valorizzarsi, per comandare la sua libertà». Così la poco più che trentenne Monica Vitti descrisse il mestiere di attore, subito dopo aver girato “L’eclisse”.
Possiamo suddividere in tre parti la carriera cinematografica di Monica Vitti, che comprende cinquantadue titoli, di cui due non accreditati. I quattro grandi film girati con Michelangelo Antonioni; il periodo “brillante” i cui film, essendo numerosissimi, richiedono a loro volta una necessaria differenziazione; un terzo troncone, che si sovrappone al precedente, relativo ai film girati all’estero, per la maggior parte con registi “impegnati”. Non possiamo poi trascurare la sua attività teatrale e televisiva nonché – a conclusione di una lunga carriera – il suo unico film da regista (“Scandalo segreto”), girato nel 1990.
La musa di Michelangelo Antonioni

Antonioni fece la conoscenza della Vitti durante le riprese de “Il Grido”. Monica faceva la doppiatrice di Virginia (Dorian Gray) una delle partner del protagonista, Aldo (Steve Cochran). Fu un colpo di fulmine. Non crediamo che ad attrarre il regista sia stata la voce della doppiatrice. Anche se la voce roca – e la sua naturale verve – sono considerate le caratteristiche principali delle sue interpretazioni. Sarebbe facile rispondere che della tonalità della voce e di un carattere spumeggiante, il “regista dell’incomunicabilità” non avrebbe saputo cosa farsene. A nostro parere Antonioni rimase colpito dall’intensità dello sguardo e dalla “modernità” del volto e della figura di Monica.
Ne fece comunque la protagonista di una “tetralogia” che costituì un vero e proprio rinnovamento del cinema italiano e dello stesso neorealismo. Non più l’Italia delle borgate o delle case popolari o delle vicende belliche e postbelliche, ma l’Italia della borghesia proiettata verso il “miracolo economico” degli anni Sessanta. Una borghesia che però ha già perso ogni entusiasmo di vivere i rapporti sociali. Per questo si è parlato di “incomunicabilità” tra i personaggi di Antonioni. In realtà i film del regista ferrarese non sono storie di personaggi ma storie di “non sentimenti”.
Del 1960 è “L’avventura”, un film accolto tiepidamente in Italia ma che la critica d’oltreoceano pone tra i capolavori mondiali. Poi “La notte” (1961), ”L’eclisse” (1962) e “Deserto rosso” (1964). Non ci sembra di dire uno sproposito affermando che, senza Monica Vitti, il regista dell’incomunicabilità non avrebbe mai raggiunto i livelli da lui toccati anche nel prosieguo della carriera. “Deserto rosso”, l’unico a colori della tetralogia, è stato girato quando ormai il rapporto tra l’attrice e il regista era finito da tempo. Nel frattempo, Monica aveva già girato altri film con registi differenti.
La vera protagonista della commedia all’italiana degli Anni ’70 e ’80

Il primo film “brillante” della Vitti è stato “Il disco volante” (1964), per la regia di Tinto Brass, con un poliedrico Alberto Sordi. Ci vorranno altri cinque anni prima che Monica torni sul set con l’attore romano e, stavolta come co-protagonista. Si dovrà infatti attendere il 1969 per assistere ad “Amore mio aiutami”, altri quattro anni per “Polvere di stelle” (1973) e ancora nove per “Io so che tu sai che io so” (1982). In sostanza la coppia Vitti-Sordi ha girato solo quattro film in quasi un ventennio, di cui solo tre con entrambi protagonisti. Ricordare quindi la Vitti soltanto per le sue parti brillanti al fianco di Sordi significa, a nostro parere, fare un enorme torto alle doti artistiche della grande attrice.
In ogni caso, la trasformazione della Vitti da attrice seria a brillante è talmente sorprendente da rassomigliare a una vera e propria “mutazione genetica”. Ciò a riprova delle enormi capacità artistiche dell’attrice romana. Il ‘periodo brillante’ comprende pellicole in cui Vitti è indiscussa protagonista: “Ti ho sposato per allegria” di Salce (1967); “La ragazza con la pistola” (1968) di Monicelli; “Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa” (1970) di Marcello Fondato; “Noi donne siamo fatte così” (1971) di Dino Risi; “Teresa la ladra” (1973) di Carlo Di Palma; “Amori miei” (1976) di Steno; “Non ti conosco più amore” (1980) di Sergio Corbucci; “Il tango della gelosia” (1981) ancora di Steno. Tutti film che, pur essendo brillanti hanno comunque un loro significato e non concedono nulla alla volgarità.
In “Dramma della gelosia” (1970) di Ettore Scola, Monica regge pressoché completamente la scena accanto a un Mastroianni che non riesce a calarsi nella vis comica (che – forse – non gli è mai stata congegnale). Anche ne “L’anatra all’arancia” (1975) di Salce, Ugo Tognazzi appare abbastanza defilato, quasi a timbrare un cartellino idoneo a ritirare il cachet e nulla più. È esagerato dire che Monica Vitti abbia tenuto alto il tono della commedia all’italiana, in un periodo in cui andò ad affermarsi il turpiloquio o la commedia sexy di basso livello?
All’estero per Miklós Jancsó, Luis Buñuel e André Cayatte

I film girati dalla Vitti all’estero o con registi stranieri non sono mai banali. Ha iniziato già nel 1963 con “Confetti al pepe” di Jacques Baratier, un esempio di cinema-verità ma al tempo stesso una parodia dei vari generi cinematografici. Ha proseguito con “Il castello in Svezia” di Roger Vadim, dello stesso anno, accanto a Jean-Louis Trintignant e Curd Jürgens, e con il poliziesco “Modesty Blaise” (1966). Al ‘periodo brillante’ vissuto in Italia, si sono sovrapposte altre pellicole girate all’estero, di genere drammatico o comunque impegnato, ad ulteriore dimostrazione della poliedricità dell’attrice.
“La donna scarlatta” (1969) di Jean Valery, girato a Parigi, è un film drammatico ma al tempo stesso una vera e propria comédie française. Nel 1971 è scelta da Miklós Jancsó per interpretare “La pacifista”, ambientato nelle lotte della contestazione. Nel 1974 è nel cast de “Il fantasma della libertà” del grande Luis Buñuel. Quattro anni dopo è la protagonista de “La ragion di Stato” di André Cayatte. Nel 1979 gira con Keith Carradine “Un amore perfetto o quasi”, di Michael Ritchie. Insomma, liquidare Monica Vitti come ‘fenomeno’ della commedia all’italiana o addirittura soltanto come la ‘partner preferita da Alberto Sordi’ è francamente riduttivo.
Monica Vitti e la sua imponente collezione di riconoscimenti

A teatro, Monica Vitti esordisce nel 1956 all’Olimpico di Vicenza come Ofelia in “Amleto” di Riccardo Bacchelli. Fa la sua apparizione nella prosa televisiva, seppure non come protagonista, durante il periodo cinematografico con Antonioni. La TV si ricorda di lei soltanto dopo i successi delle commedie cinematografiche. Nel 1974 si esibisce nel varietà “Milleluci”, inscenando con Raffaella Carrà una simpatica coreografia balneare e cantando anche con Mina “Bellezze al bagno”. Nel 1978 recita nella commedia televisiva “Il cilindro” di Eduardo De Filippo. Nel 1980 la TV compie il miracolo di ricomporre per un’ultima volta il suo sodalizio con Antonioni ne “Il mistero di Oberwald”. Sette anni dopo, con Rossella Falk porta a teatro la versione femminile de “La Strana Coppia” di Neil Simon, per la regia di Franca Valeri.
Nel frattempo conosce il regista televisivo Roberto Russo (suo futuro marito) che la dirige in “Qualcosa di Monica” e “Passione Mia” (1985) per la TV (1980), e nel film “Flirt” (1983) . Esordisce come regista televisiva insieme a Giuseppe Rinaldi con “La fuggidiva”. Infine conclude la sua carriera dirigendo sé stessa nel film “Scandalo segreto” (1990), di cui scrive anche soggetto e sceneggiatura insieme a Roberto Russo.
La sua collezione di riconoscimenti ottenuti è imponente: ben cinque David di Donatello come miglior attrice protagonista (La ragazza con la pistola, Ninì Tirabusciò, Polvere di stelle, L’anatra all’arancia, Amori miei). Tre nastri d’argento (La notte, La ragazza con la pistola, L’anatra all’arancia); sette “globi d’oro” e tre “grolle d’oro” come miglior attrice protagonista. Orso d’Oro al Festival di Berlino 1984 per “Flirt” e Leone d’oro alla carriera al Festival di Venezia 1995. Detto ciò, non resta che esprimerle i nostri personali auguri: buon compleanno, Monica!

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