Una giornata particolare (1977), di Ettore Scola.

di Roberta Lamonica

‘Le vite degli individui della specie umana formano un intreccio continuo, in cui ogni tentativo di separare un pezzo di vissuto che abbia un senso separatamente dal resto – per esempio, l’incontro di due persone che diventerà decisivo per entrambi – deve tener conto che ciascuno dei due porta con sé un tessuto di ambienti fatti altre persone, e che dall’incontro deriveranno a loro volta altre storie che si separeranno dalla loro storia comune‘.

(da ‘Se una notte d’inverno un viaggiatore’, di I. Calvino)

6 maggio 1938: Hitler viene in visita a Roma. Un evento organizzato in ogni magniloquente e magnificente dettaglio da Mussolini che ottiene ‘l’entusiastica e spontanea’ partecipazione di tutta la cittadinanza romana.

In un grosso caseggiato popolare a Roma tutto è pronto per dare il proprio contributo all’evento e dopo febbrili e rumorosi preparativi, frotte festanti e fiduciose abbandonano l’edificio. Nello stabile restano Antonietta, moglie sottomessa e trascurata di un fascista ignorante e rozzo, madre di sei figli e Gabriele, colto e raffinato ex speaker radiofonico dell’EIAR, dirimpettai ma sconosciuti. Custode del caseggiato, della creanza e del regime, resta a casa anche una portiera impicciona. Un dettaglio apparentemente banale farà incrociare le loro vite per una giornata. Una giornata particolare.

Due vite segnate e soffocate dalle convenzioni e i pregiudizi. Due anime che inconsapevolmente si cercano, si trovano e poi si perdono, donandosi però la consapevolezza di una via possibile, di un’identità e di una dignità meritevoli di essere riconosciute. Allora tutto diventa improvvisamente sopportabile: l’abat jour spento come tutte le sere sul comodino di un letto che non si sente più familiare; essere portati al confino senza colpa alcuna; rientrare nei ranghi di un’esistenza senza più sussulti né amore.

Ettore Scola mostra con una raffinatezza e una grazia infinite ‘una giornata particolare’ nella vita di Antonietta e Michele, due esclusi, due emarginati in un certo senso che sperimentano la forza sovversiva della libertà di espressione individuale proprio nel giorno in cui l’Italia la perde completamente, in un certo modo consegnandosi all’alleato tedesco.

Il ridimensionamento degli eventi nella scala di valori alla percezione individuale rende la propaganda continua e imponente un sottofondo sempre più sbiadito e indistinto rispetto all’esperienza di vita dei due protagonisti, un rumore che gradualmente diventa ronzio, per poi spegnersi sul silenzio sonoro dell’autodeterminazione.

La bellezza dolente di S. Loren, nella consumata vestaglia a fiori, le caviglie sottili che reggono il peso di continui soprusi e angherie coniugali, lo sguardo che cerca senso nel vuoto esistenziale della sua condizione riempiono lo schermo a ogni primo piano, regalandoci un’interpretazione straordinaria.

Ma Marcello Mastroianni è letteralmente monumentale. Il suo Gabriele è pieno di tutte le sfaccettature della natura umana: il dolore, l’entusiasmo, la speranza, la disperazione, l’accettazione consapevole. Rende con una credibilità assoluta il suo essere uomo su basi differenti rispetto a quelle accettate come norma; il suo non essere ‘marito, padre, soldato’ viene espresso con una classe e un’arte ineguagliati e ineguagliabili.

Ettore Scola dirige magistralmente questi due attori straordinari nell’indagine della profondità dell’ anima e dell’intimità dei personaggi. Oltre al celebrato piano sequenza iniziale con cui ci fa entrare letteralmente nella quotidianità di Antonietta, il regista mostra maestria e sensibilità incredibili in tutto il film, in un crescendo emotivo che scuote lo spettatore e resta addosso ben oltre i titoli di coda.

La scena-rivelazione della telefonata di Gabriele, ad esempio, vede il regista inquadrare il protagonista prima a figura intera, poi chiudere sul volto di Gabriele per poi spostarsi con discrezione sulla nuca, quasi a voler rispettare l’intimità inesprimibile di quella conversazione ‘illecita’.

La fotografia seppia di Pasqualino De Santis, rende nei toni lo stato d’animo dei protagonisti ma anche i colori di un’epoca, che di lì a poco perderanno ogni sfumatura per chiudersi sullo schermo nero dell’abisso della guerra mondiale.

Capolavoro.

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