‘Io la conoscevo bene’ (1965), di A. Pietrangeli

di Greta Boschetto

“Il fatto è che le va bene tutto, è sempre contenta, non desidera mai niente, non invidia nessuno, è senza curiosità, non si sorprende mai. Le umiliazioni non le sente… Eppure, povera figlia, dico io, gliene capitano tutti i giorni… le scivola tutto addosso senza lasciare traccia, come su certe stoffe impermeabilizzate. Ambizioni zero, morale nessuna, neppure quella dei soldi perché non è nemmeno una puttana. Per lei ieri e domani non esistono, non vive neanche giorno per giorno perché già questo la costringerebbe a programmi troppo complicati. Perciò vive minuto per minuto: prendere il sole, sentire i dischi e ballare sono le sue uniche attività. Per il resto è volubile, incostante, ha sempre bisogno di incontri nuovi e brevi, non importa con chi. Con se stessa, mai”

(Lo scrittore, un amante di Adriana)

Io la conoscevo bene è un film del 1965 di Antonio Pietrangeli con Stefania Sandrelli, Mario Adorf, Jean-Claude Brialy, Nino Manfredi, Franco Nero, Enrico Maria Salerno e Ugo Tognazzi.

Sono passati più di cent’anni dalla nascita di Pietrangeli ma per lui nessuna commemorazione e nessun ricordo nazionale. Non me n’ero accorta nemmeno io nel 2019, ci ho pensato quest’anno grazie alle manifestazioni nate (per fortuna) in tutta Italia e nel mondo per ricordare Federico Fellini.

Antonio, un uomo dimenticato, senza troppa fortuna e successo in vita, non ha avuto la gloria che meritava nemmeno da morto, come invece spesso accade, un regista a metà strada tra la commedia e la tragedia e per questo, per me, ancora più drammatico: purtroppo in pochi ancora oggi possono dire “io lo conoscevo bene”, come nessuno dei protagonisti lo potrebbe dire di Adriana, il personaggio principale e unico di questo film struggente e duro pur nella sua delicatezza.

Adriana viene da un piccolo paese di campagna nel pistoiese e si trasferisce a Roma in cerca di fortuna, non sa ancora bene quello che vuole ma sa sicuramente che non vuole più la miseria delle sue origini e si approccia ad ogni occasione con spontaneità e senza calcolo, prende tutto quello che la vita le offre piena di speranza e di ingenuità, indolente e quasi senza coscienza.

Il periodo è propizio, apparentemente: sono gli anni del boom economico italiano, ormai lontani nella storia ma più che mai attuali nei loro risvolti disastrosi, e Pietrangeli decide di non dipingerceli come l’epoca d’oro delle grandi possibilità ma nel loro lato più oscuro, una realtà amara e spietata, pronta ad illudere, raccontandoci che anche la povera gente può sognare in grande senza svelare mai che altrettanto alla grande sarà comunque sempre delusa.

Adriana è bella, ingenua, sola: si trova a muoversi in una folla di borghesi grandi e piccoli, cinici e bugiardi, pronti solo ad arraffare e a ostentare i simboli del benessere senza nessuna autenticità nei rapporti, vittime e schiavi, soli anche loro ma senza purezza.

Come in un album di fotografie, osserviamo vari episodi della sua vita che ci vengono mostrati in maniera quasi casuale grazie a un montaggio moderno che costruisce e decostruisce, unendo passato e presente in una struttura narrativa caotica ma chiara perché tutto è vita, la sua vita, la sua esistenza testarda che non ha la superficialità di voler solo apparire ma nemmeno più la forza di sentirsi umiliata.

Adriana più che un personaggio è un simbolo, quello di un malessere che nemmeno lei stessa riesce a riconoscere, un essere umano generoso e spensierato che per non morire povera nella sua terra natia si ritrova in un ambiente ( quello di Roma, come specchio dell’Italia, ma soprattutto quello del cinema e dello spettacolo) popolato da persone spinte solo dall’ambizione di sentirsi importanti, senza riguardo per nessuno nei loro 15 minuti di fama.

Se pensassimo che la vita di Adriana sia stata un mosaico di casualità che nemmeno lei ha compreso, anche il suo salto nel vuoto potrebbe essere visto solo come un atto dettato dall’istinto, quasi senza essere pensato, tragico ma passivo come tutti pensavano fosse il suo apparente approccio alla vita, ma in realtà nasconde un atto di ribellione al senso di solitudine di un’esistenza che ha capito improvvisamente e che altrettanto improvvisamente ha capito di non voler più sopportare.  

5 risposte a "‘Io la conoscevo bene’ (1965), di A. Pietrangeli"

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