C’era una volta il West, di Sergio Leone (1968)

di Roberta Lamonica

Una stazione nel mezzo del nulla. Vecchi bigliettai bianchi, giovani native americane, banditi afroamericani. Una natura aspra, mulini a vento appena mossi dal caldo del deserto. Mosche, cigolii, gocce d’acqua… E poi il treno. C’è tutta l’America del passato, del presente e del futuro, in questo film epico. Soprattutto quella del futuro. Che è femmina. E ha il volto e gli occhi pieni di forza di Claudia Cardinale.

Quando finì di girare Il Buono, il Brutto e il Cattivo (1966), il terzo della cosiddetta ‘trilogia del dollaro’ insieme a Per un pugno di dollari (1964) e Per qualche dollaro in più (1965), Sergio Leone pensava di aver finito con il genere western. Ma il film andò così bene al botteghino negli Stati Uniti che la Paramount gli offrì la possibilità di girare il progetto dei suoi sogni C’era una volta in America, ispirato dalla lettura del romanzo di Harry Grey ‘Mano armata’, se prima avesse girato un altro western. Lo studio gli avrebbe fornito un budget più alto, attori più famosi e la Monument Valley come location, oltre a quelle spagnola e italiana.

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Leone accettò e il risultato fu uno dei più grandi western mai realizzati: C’era una volta il West, il primo film della ‘trilogia del tempo’ con Giù la testa e C’era una volta in America, che il grande regista italiano avrebbe girato sedici anni dopo. Il film non venne accolto bene all’uscita. La Paramount aspettava un altro blockbuster come Il Buono, Il Brutto e il Cattivo, non una lunga, epica e artistica opera western, e lo studio tagliò drasticamente la versione di Leone. Il Time lo definì “tedium in the tumbleweed” e il film sparì dalle sale quasi subito. A Parigi, invece, rimase in sala per quarantotto mesi e anni dopo fu riportato alla versione originale voluta da Leone di 165 minuti. Oggi è celebrato come grande classico.

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Il casting di Fonda nel ruolo di uno dei killer più spietati della storia del cinema fu una trovata vincente. Oltre a essere l’attore preferito di Leone, Fonda era noto per i suoi ruoli in personaggi edificanti. Aveva addirittura recitato la parte dell’eroico Wyatt Earp in My Darling Valentine (1946), uno degli innumerevoli western omaggiati nel film – per citarne solo alcuni: Mezzogiorno di fuoco (1952), Sentieri selvaggi (1956), Quel treno per Yuma (1957) e Rio Bravo (1959). In seguito Fonda disse di aver amato il suo ruolo in C’era una volta il West più di qualunque altro in tutta la sua carriera.

Il grande regista romano rese omaggio ai grandi classici del genere in modo tale che il genere western stesso divenisse il ‘paesaggio’ del suo film. Come spiegò in seguito, Leone voleva che C’era una volta il West usasse alcune delle convenzioni e degli espedienti del cinema western americano e una serie di riferimenti a singoli western… per raccontare la sua versione della nascita di una nazione.

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Piuttosto lineare la trama: un’ex prostituta rimasta vedova eredita un terreno, Sweetwater, su cui deve costruire una stazione prima che arrivi la ferrovia. Quel terreno lo vuole però anche un ricco magnate, Morton, che sta costruendo quella ferrovia e per ottenerlo si fa aiutare da uno spietato assassino, Frank. Entrano nella storia anche un bandito locale, Cheyenne e un uomo senza nome che parla poco e suona un’armonica, Armonica appunto, che ha un conto in sospeso con l’assassino.

Per Leone, Il film era un dolente ‘balletto dei morti’ e rappresentava la fine di un’era mitica di pistoleri che non avrebbero potuto resistere al rapido avanzare della modernità. I tre protagonisti – interpretati da Henry Fonda, Jason Robards e Charles Bronson – sono vecchi e quasi sempre inseriti in contesti decadenti e in paesaggi aridi. I primi piani strettissimi che Leone dedica loro indulgono su rughe, labbra secche, sguardi vacui e astratti, quasi smarriti. Il Far West è finito, la narrazione di quel mondo non può che assumere una dimensione epica, dal contenuto quasi fiabesco.

A proposito dell’ultima fatica di Martin Scorsese, The Irishman, si è parlato di ‘pietra tombale’ su un genere, il gangster movie. Di certo, C’era una volta il West è la pietra tombale sul genere western.

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Frank, Cheyenne e Armonica sono vecchi, dunque. Eppure si muovono in un contesto in rapido cambiamento, rappresentato in primo luogo dal treno. Il treno rimanda sempre a qualcosa di nuovo, al Cinema stesso, in un certo senso, essendo nell’immaginario collettivo L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat dei F.lli Lumière il primo film della Storia.

E Leone affida al treno e al suo profondo significato simbolico un ruolo da protagonista al pari del paesaggio e del suo cast. Molte scene sono girate sul treno o alla stazione, e spesso i pistoleri sono visti nel tentativo di restare attaccati al treno come per non perdere la corsa della modernità, per non morire.  Il treno rappresenta un elemento dirompente nella vita dei banditi, e per alcuni di loro un modo di approcciarsi alla realtà tutto nuovo.

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Il treno è come un organismo vivente. Respira e ansima come un essere umano. Irrompe su di un mondo statico, un sistema binario in cui le alternative sono la vita o la morte. Cosa rimane ‘al di qua della stazione’? Null’altro che bótti vuote e sedie ammucchiate. È ‘al di qua della stazione’ che si apre un mondo fiabesco in cui noi e Jill veniamo accompagnati dallo score meraviglioso di Morricone, a tratti tanto epico, romantico e misterioso, esagerato e giocoso come le stesse immagini di Leone.

Morricone aveva scritto la colonna sonora precedentemente e Leone la suonava continuamente sul set. Il risultato stupefacente spinse Kubrick a fare lo stesso quando girò Barry Lyndon (1975). Indimenticabili i temi dedicati a ogni protagonista che si fondono con un risultato dal forte impatto emotivo nelle battute finali del film.

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Oltre al treno, anche l’acqua riveste un ruolo fondamentale nel film. Simbolo di nascita e di vita (Sweetwater sorge su una sorgente d’acqua, l’unica nel raggio di svariati chilometri e luogo destinato a unire il vecchio con il nuovo), ma anche di purificazione e rigenerazione (Jill chiede ripetutamente dell’acqua per fare un bagno o per lavarsi), e infine di morte (Brett McBain muore mentre raccoglie acqua fresca dal pozzo, Morton muore strisciando verso l’acqua).

La costruzione della ferrovia, la geomorfologia come elemento di interesse economico, l’uso moderno di usare il denaro invece della violenza per ottenere i propri scopi, i Morton che vengono disprezzati perché privi di attributi, striscianti come lumache e lenti come tartarughe che però rosicchiano il vecchio West nel profondo; la scioccante spietatezza dei nuovi mezzi ‘economici’, rendono questi uomini obsoleti, dunque.

Prima del duello finale Armonica, il pistolero silenzioso e solitario, dice al cattivo Frank: “Hai scoperto che dopotutto non sei un uomo d’affari. Solo un uomo. Una Razza vecchia. Verranno altri Morton e la faranno sparire”.

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I nostri pistoleri sono obsoleti, e loro lo sanno. Sanno che sono destinati a morire o a sparire, e possono solo scegliere come. Il rito di passaggio al Nuovo è affidato ad una donna, per la prima volta in un ruolo così centrale nel genere. Ma non è una donna qualsiasi, la Jill di C’era una volta il West: è una donna che ha vissuto e porta su di sé i segni e le profonde cicatrici di quella vita (“Se ti piace puoi sbattermi su quel tavolo e divertirti come vuoi, e puoi chiamare anche i tuoi uomini. Beh, nessuna donna è mai morta per questo. Quando avrete finito mi basterà una tinozza di acqua bollente e sarò esattamente quella di prima, solo con un piccolo schifoso ricordo in più”). Per questo riesce ad essere resiliente e andare avanti, e costruire.

Cosa resta del mondo prima del treno, allora? Resta l’insegnamento che da quel mondo arriva, anche in una veste poco ortodossa, nelle parole di Cheyenne, che sono parole di ‘conciliazione’ e diplomazia (“Sai Jill, se fossi in te gli porterei da bere a quei ragazzi. Tu non immagini quanta gioia metta nel corpo di un uomo, una donna come te, anche solo vederla… E se qualcuno di loro ti tocca il sedere, tu fai finta di niente, lasciali fare”). E così non si può non pensare che è nelle curve sinuose e nel volto espressivo di Jill/Claudia Cardinale che sta germogliando la moderna nazione americana.

Armonica appartiene al passato, al West epico dell’onore, della vendetta, dei rumori della natura e dei suoi interminati silenzi. Jill va avanti e ‘fa finta di niente‘. E così, mentre lui entra nel mito portando con sé Cheyenne, Jill entra nel futuro, quasi generandolo.

Capolavoro senza tempo.

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7 risposte a "C’era una volta il West, di Sergio Leone (1968)"

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  1. Che bello leggere una recensione così dettagliata su un film così grande. Stamattina ripensando alle tue parole, ma avendo in mente anche un piccolo spunto mio personale riguardo al film mi dicevo: C’era una volta il West, è il film più equilibrato e più completo di Leone. Perché’? Tu hai dato la risposta a quello che pensavo: l’equilibrio creativo, nel narrare di emozioni (il simbolo dell’acqua che tu citi, del tutto assente negli altri, che fa da contraltare al tanto fuoco). E l’elemento centrale o comunque co-centrale della donna (unico film di Leone con una protagonista femminile che è al pari dei suoi antagonisti uomini) nel film. Se la trilogia del dollaro è molto sbilanciata su elementi maschili, la trilogia del tempo con questo film, riequilibra molto (pur perdendo tale equilibrio con il suo ultimo capitolo, dove i ricordi e il loro intersecarsi con la vita prendono in sopravvento).

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    1. Grazie, Fritz. È un film che ho ‘sentito’ tantissimo. Ho trovato la figura di Jill modernissima è forte come il paesaggio inospitale in cui si muove. Unico neo: il doppiaggio della Cardinale. La sua voce rauca e poco musicale sarebbe stata perfetta, secondo me.

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