L’infanzia di Ivan, di Andrej Tarkovskij (URSS 1962)

di Andrea Lilli –

Primo lungometraggio di Andrej Tarkovskij, L’infanzia di Ivan venne prodotto in tempi stretti e con mezzi limitati. Le riprese del film erano infatti già iniziate da tempo e la casa produttrice Mosfil’m aveva fretta di concludere, ma non era soddisfatta del lavoro fatto dal regista georgiano Eduard Abalov: lo sostituì in corso d’opera con il ventottenne Tarkovskij, appena diplomatosi al prestigioso VGIK (Istituto Statale Pan-russo di Cinematografia, fondato nel 1919: la scuola di cinema più antica del mondo).

Fin allora, Andrej Tarkovskij aveva realizzato solo un corto e due mediometraggi, compresa la prova finale accademica. Come scrisse nel memoriale Scolpire il tempo, decise di fare di questa occasione un test decisivo sul suo futuro di regista, e siccome la sua idea di cinema era quella di un poeta dell’immagine irriducibile a compromessi, non fu troppo prudente con la cinepresa e seguì liberamente il proprio codice, ignorando le rigide convenzioni del cinema sovietico.  Il soggetto era tratto da Ivan, un racconto in parte autobiografico di Vladimir Bogomolov, scrittore arruolatosi giovanissimo come soldato nell’Armata Rossa allo scoppio della seconda guerra mondiale e congedato al termine del conflitto come comandante plurimedagliato. Nel film, Ivan (Nikolaj Burljaev) è un orfano dodicenne cui la guerra ha annientato la famiglia: il padre disperso al fronte, madre e sorellina uccisi dagli invasori nazifascisti.

Il ragazzino è intelligente e coraggioso, si offre come staffetta informativa in pericolose missioni tra una riva e l’altra del fiume Dnepr, in terra ucraina segmento decisivo di quel fronte orientale che fu teatro del più cruento massacro bellico di tutti i tempi (almeno quindici milioni di vittime tra il 1941 e il 1945). Spinto dal coraggio degli adolescenti e dall’odio più puro e radicale per gli assassini dei familiari, Ivan dimostra un’abnegazione eroica e rifiuta di essere allontanato dalla lotta in prima linea. Come spia è abile ed efficace, e così viene utilizzato senza tanti scrupoli da quegli stessi ufficiali russi che sono diventati i suoi referenti affettivi, in mancanza di altre figure paterne o fraterne. Un vero e proprio sfruttamento minorile che ricorda certe figure di piccole vedette lombarde, figli del reggimento, balilla, scugnizzi sacrificati “alla giusta causa” che ricorrono costantemente tra le infamità della Grande Storia fatta dagli adulti.

Anche per la Mosfil’m il piccolo grande Ivan sarebbe stato un soggetto esemplare da utilizzare in chiave propagandistica: senonché, il nuovo regista riscrive l’intera sceneggiatura con l’amico Andrej Konchalovskij, conosciuto a Mosca nella Scuola del Cinema (oltre a recitare un piccolo ruolo, Konchalovskij suggerisce anche l’attore giusto per interpretare Ivan). Tarkovskij cancella le consuete epiche scene di guerra e rinuncia ai set ricostruiti, anche per motivi di budget. Incardina la storia su pochi ruoli, fa parsimonia di mezzi tecnici, predilige le riprese ravvicinate, i piani sequenza lenti, soprattutto punta l’obiettivo dentro i personaggi, invece che su ciò che fanno. Di Ivan indaga i ricordi, quelli di un’infanzia interrotta e perduta che il ragazzino può rivivere ormai solo attraverso i sogni: la madre, la sorella, i giochi, la natura, le cose che ricorreranno nei successivi film di Tarkovskij: l’acqua, il fango, le mele, i cavalli…

Sogni e frammenti di vita collegati con filo doppio a quelli reali di Tarkovskij, legatissimo alla madre, “orfano” del padre – il poeta Arsenij, che a lungo si allontanò dalla famiglia prima di rifarsi vivo. Il regista aveva nove anni quando i nazifascisti invasero l’URSS, e notiamo che assegna a sua moglie, l’attrice Irma Raush conosciuta alla scuola di cinema, il ruolo della madre di Ivan. Nel 1962, stesso anno di uscita del film, nasce Arsenij, il primo figlio di Tarkovskij, cui viene dato il nome del padre di Andrej.

Oltre che alla dimensione interna di Ivan, Tarkovskij è attento a quella di altri personaggi: anzitutto l’estroverso e disincantato capitano Kholin, che insidia Masha, ufficiale medico, più per gioco che per passione, arrivando a baciarla nella celebre scena dell’abbraccio sospeso; e il tenente Galtsev, cui a guerra finita verrà rivelato il destino di Ivan. Sono diverse, le “vie di fuga” che intervengono per alleviare ai soldati il peso di una vita mortifera: un disco ritrovato, un grammofono riparato, un libro d’arte, la dolcezza di Masha. Le armonie della bellezza contro il nulla della morte.

Lei è ucraina?

Perché?

Beh, perché è bella e riservata…

– No.

La Mosfil’m, poderosa struttura cinematografica moscovita ligia alla linea del Partito, è spiazzata. Tuttavia il tempo della destalinizzazione è ormai arrivato, i produttori devono accettare la clamorosa accoglienza registrata dal film sia in patria che all’estero. Con 16,7 milioni di biglietti venduti in URSS e una sfilza di premi internazionali, tra cui il Leone d’Oro a Venezia (ex aequo con Cronaca familiare di Valerio Zurlini), e il premio principale al San Francisco Film Festival, L’infanzia di Ivan rende celebre in tutto il mondo Andrej Tarkovskij. La fama e il talento gli consentiranno di fare altri film, ma sarà sempre osteggiato dai burocrati sovietici e infine, vent’anni dopo il regista dovrà scegliere l’esilio.

Prima di spegnersi nel 1986 a 54 anni, Andrej Tarkovskij realizzò sette lungometraggi. L’infanzia di Ivan anticipa e compendia tutti gli elementi del suo cinema di ricerca visionario e introspettivo, onirico, spirituale eppure inscindibile dalla materialità delle cose, dalla complessità delle relazioni umane, dai rapporti affettivi profondi.

Vedere oggi le truppe di Putin invadere con le bombe e i carri armati gli stessi territori di questo film, che mostra l’assurdità della guerra di conquista più sanguinosa nella storia dell’Uomo, scatenata ottant’anni fa da Hitler e Mussolini, fa una tristezza, una rabbia infinita.


il film è disponibile qui (doppiato in italiano)

2 risposte a "L’infanzia di Ivan, di Andrej Tarkovskij (URSS 1962)"

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